La morte del diciannovenne egiziano a Milano è una pessima notizia. Una vita spezzata per scappare dalle forze dell’ordine. La reazione delle bande dei quartieri Sud della città non è stata una semplice commemorazione per la morte dell’amico, ma un’azione nata con l’intento di attaccare i poliziotti. Tra petardi e violenze diffuse, gli immigrati di prima e di seconda generazione hanno dato libero sfogo al problema che vivono un po’ le periferie di tutte le città, specie a Milano che non solo geograficamente, e non più soltanto in senso positivo, si avvicina al modello delle grandi metropoli europee: centri economici enormi, sedi finanziarie imprescindibili per la vita del resto del Paese, ma con disagi altrettanto grandi nelle aree esterne, dove si stanziano i nuovi arrivati, in cerca probabilmente di quella vita migliore promessa in Occidente ma mai arrivata.
Ai tg la vittima viene descritta dai familiari come un bravo ragazzo, un lavoratore che campava con i suoi profitti. Ma pur non prendendo alla leggera la morte di un giovane, che non potrà mai essere una buona notizia, e al di là delle indagini che chiariranno perché l’egiziano scappava dagli agenti (per la cronaca, quello alla guida dell’autovettura è finito sotto indagine per omicidio colposo), forse bisognerebbe preoccuparsi anche e soprattutto dello stato di degrado in cui si vive in quelle zone. I residenti sono ormai abituati a violenze e spaccio di droga. E bene si capisce il perché: lo Stato ormai è diventato troppo debole in quelle zone dove impera la microcriminalità di bande organizzate, sono troppi gli autori di reati fuori controllo e il singolo residente o si abitua, oppure è costretto a subire anche sulla sua pelle gli effetti di tali fenomeni.
Il fallimento di anni di politiche sbagliate
Ma si poteva evitare. E per fortuna l’Italia ha avuto il tempo necessario per guardare ciò che succedeva negli altri grandi Paesi europei, tappa definitiva prediletta dalla maggioranza degli immigrati. In Francia interi quartieri sono definiti banlieue, totalmente distaccati dal resto della città, ma non geograficamente: lì la criminalità regna sovrana, c’è l’anti-Stato, formato da chi non vuole rispettare le leggi del posto, non vuole o forse non riesce a integrarsi. È questo il punto: le altre grandi città europee ci hanno insegnato che l’immigrazione incontrollata porta a questo, all’emarginazione, voluta o meno, di chi entra. Altrimenti, non si spiegherebbe perché gli Stati mettono a disposizione dei posti limitati per gli ingressi regolari: perché, al di là di quei posti, integrare diventa difficile, anzi numericamente impossibile.
Con il dl Flussi, il governo ha voluto regolare anche i flussi regolari, con nuove modifiche sul giorno del click day. Giorgia Meloni in persona denunciò alla Procura Nazionale Antimafia le anomalie legate a questo procedimento: molti degli stranieri che facevano richiesta di lavoro in Italia si trovavano in realtà senza un impiego perché l’imprenditore che faceva domanda, poi non assumeva. E il migrante si ritrovava in Italia legandosi, giocoforza, al mondo della criminalità. Un sistema che ha fatto pensare alla collaborazione delle mafie nostrane e quelle locali, dei Paesi d’origine. La situazione è esplosiva nei paesi vesuviani del napoletano, dove il numero di cittadini provenienti dal sub-continente indiano è elevatissimo e si ritrovano a vivere molto frequentemente in condizioni igieniche pessime e a collaborare proprio con le mafie. Strano che ci sia voluta la destra al governo per rendersi conto di un tale sistema.
Come nella provincia di Napoli, a Milano la situazione è simile. I meccanismi sono diversi, ma l’esito è lo stesso: si vive al di là della legge. Il malcontento verso le autorità, le istituzioni, verso il nostro Paese è molto alto. Come se fosse reputato incapace (e lo è, ma non certo per sue colpe) di dare un futuro a tutti quelli che arrivano. Dunque, la necessità è chiara: o diminuiscono i numeri in entrata, o nessuno avrà il futuro che sperava. È il fallimento del sistema di immigrazione incontrollata che abbiamo vissuto e a cui Giorgia Meloni sta mettendo un freno.