Era il 17 giugno 1974 quando, a Padova, la violenza politica cambiò per sempre volto. Non fu una manifestazione, non fu un dibattito acceso tra opposte fazioni. Fu un’esecuzione. Nella sede del Movimento Sociale Italiano vennero assassinati Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola, colpevoli – secondo i loro assassini – di appartenere a un’idea diversa, considerata “scomoda”, “fascista”, e quindi da eliminare.
Fu il primo omicidio delle Brigate Rosse. Un atto vile, non rivoluzionario. Due uomini disarmati, presi di mira da chi predicava la lotta contro l’oppressione ma praticava la più brutale delle oppressioni: quella che impone il silenzio, l’annientamento dell’altro, in nome di una presunta giustizia rivoluzionaria.
Giralucci, ex carabiniere, e Mazzola, militante del MSI, si rifiutarono di inginocchiarsi, di farsi incatenare. Non arretrarono. Pagando con la vita la fedeltà ai propri ideali. Erano uomini che credevano in un’Italia diversa, e per questo furono giustiziati.
All’inizio si cercò di sviare l’attenzione: si parlò di una lite interna, si minimizzò, si fece finta di non capire. Per troppo tempo, il loro nome fu sussurrato o taciuto, perché la loro morte metteva in discussione troppe certezze, infrangeva il comodo schema delle vittime “giuste” e delle vittime “sbagliate”.
Ma non esistono morti di serie A e morti di serie B. Esistono uomini, esistono scelte, esiste il coraggio. E Giralucci e Mazzola furono uomini liberi, fino all’ultimo respiro. Non sono solo due nomi su una lapide: sono il simbolo di un’Italia che resiste all’intolleranza, che non si inginocchia davanti al fanatismo, né rosso né nero.
Quel giorno del 1974 segnò l’inizio degli anni di piombo, una stagione oscura in cui l’ideologia giustificava il piombo e il sangue. Ricordare chi fu vittima di quella follia non è solo un dovere della memoria: è un atto politico, morale, civile. È una ribellione contro ogni forma di oblio selettivo, contro il relativismo che tenta ancora oggi di giustificare l’ingiustificabile.
Giralucci e Mazzola sono i nomi di un’Italia che non si piega. Ricordarli è rompere il silenzio. È restituire verità e giustizia a chi è stato sacrificato sull’altare dell’odio ideologico. La loro memoria è la nostra libertà. E finché li ricorderemo, nessuno potrà cancellare ciò che davvero sono stati: martiri della libertà di pensiero, vittime di un terrorismo vile, simboli di un coraggio che la storia non deve più ignorare.