Covid, i silenzi di Arcuri sulle mascherine cinesi

C’è la possibilità che le due vicende, quella della Jc Electronics e quella delle mascherine cinesi irregolari importate a prezzo d’oro, abbiano avuto un certo legame. Domenico Arcuri, da poco insediatosi come commissario straordinario per la gestione della pandemia, strappò di fatto il contratto con la Jc Electronics siglato poco prima dal governo Conte perché – come ha sostenuto lo stesso Arcuri – l’azienda, con sede a Colleferro, in provincia di Roma, era in ritardo nella consegna. In più, secondo Arcuri, molte di queste mascherine non avevano ottenuto il lasciapassare né dal Comitato tecnico-scientifico né dall’Inail. Ma a quanto pare si sbagliava, perché l’azienda stessa, pochi giorni dopo, inviò le certificazioni rilasciate dall’Inail. Una mail che però non venne inoltrata al Cts per negligenza, da quanto emerge, del funzionario preposto. Un errore di comunicazione che costerà allo Stato 203 milioni di euro: questa la condanna per la Presidenza del Consiglio in favore della Jc Electronics. Nel frattempo, il caso delle mascherine cinesi. 800 milioni di mascherine pagate 1,2 miliardi di euro. L’ipotesi da molti sostenuta è la possibilità che Arcuri, bloccando l’accordo con la Jc, abbia favorito altre aziende, per giunta straniere. Una tesi smentita da Arcuri stesso, che però ha preferito non proferire parola su un fatto per nulla meno grave: l’irregolarità e, in alcuni casi, la dannosità delle mascherine importate dalla Cina.

Andiamo per gradi. Ad aprile dello scorso anno, la Procura di Roma ha chiesto una condanna ad 1 anno e 4 mesi per Arcuri proprio per questo motivo. Il reato di cui era accusato era abuso d’ufficio: data la sua abolizione, il pm ha chiesto il non luogo a procedere. Ma nel frattempo dalle indagini degli inquirenti sono emerse parecchie novità: Mario Benotti, imprenditore nel frattempo deceduto, era accusato di traffico di influenze illecite, mentre Antonio Fabbrocini, numero due di Arcuri all’epoca, era indagato per frode nelle pubbliche forniture, falso e abuso d’ufficio. Si è scoperto, come sostengono i magistrati, che non solo l’esame fisico/chimico delle mascherine ha dimostrato che “gran parte non soddisfano i requisiti di efficacia protettiva richiesti dalle norme Uni En”, ma anche che “addirittura alcune forniture sono state giudicate pericolose per la salute”. Secondo i giudici, dunque, pare ci sia stata in capo all’imprenditore “la facoltà di avere rapporto commerciale con la Pa senza assumere alcuna responsabilità sul risultato della propria azione e sulla validità delle forniture che procurava; la quasi totale esclusiva nella intermediazione di fatto delle forniture di mascherine chirurgiche e dpi importati dalla Cina”, con la garanzia per i suoi partner di “un’esclusiva in via di fatto nell’intermediazione delle forniture di maschere chirurgiche e dispositivi di protezione individuali”.

Indagini che hanno portato a delle verità inquietanti, ma che comunque si sono svolte, per così dire, con troppa calma. Ma è anche tutto ciò che ha portato Fratelli d’Italia a sostenere che Arcuri, audito ieri in commissione d’inchiesta sul Covid, abbia soltanto tentato di “difendere sé stesso, di sviare i temi per i quali era stato convocato, di denigrare la Jc Electronics e di addossare colpe ad altri”, ha dichiarato Alice Buonguerrieri, capogruppo di Fratelli d’Italia in commissione. Tra silenzi e accuse, dunque, la commissione d’inchiesta sta facendo un po’ di chiarezza su tanti temi che, in sua mancanza, sarebbero rimasti nella penombra per poi cadere nel dimenticatoio, con i cittadini lasciati all’oscuro di tutto.

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