I padri fondatori della Unione europea e i federalisti come Altiero Spinelli, che sognavano gli Stati Uniti d’Europa, sicuramente non immaginavano un’architettura istituzionale continentale come quella di oggi.
A causa della miopia e della scarsa lungimiranza ormai più che ventennali, soprattutto delle classi dirigenti franco-tedesche, che hanno portato i Paesi più forti del continente, Francia e Germania in primis, ad alternare, a seconda delle convenienze, la solidarietà europea alla difesa dei propri interessi nazionali, la Ue è divenuta un soggetto politico che di fatto non è né carne né pesce.
Siamo distanti dall’assomigliare ad una grande nazione federale tipo gli Usa, ma la completa indipendenza dei Paesi europei non c’è più. La Unione europea influisce sul piano economico-finanziario, in particolare nella cosiddetta Eurozona, ma circa la politica estera, la difesa e la sicurezza internazionale, essa fatica a muoversi in modo univoco, salvo poi lamentarsi a volte, più o meno sottovoce, dell’attivismo americano nel mondo.
I distinguo provengono quasi sempre dall’Eliseo ed ogni tanto anche da Berlino, cioè proprio da quei centri di potere grazie ai quali l’Europa è stata finora e continua ad essere un nano politico e militare, obbligando gli Stati Uniti d’America a scendere in campo come principali difensori dell’Occidente. Occorre ammetterlo, in merito all’Ucraina tutta la Ue si è rivelata sin da subito nobilmente compatta e qui Vladimir Putin, che pensava di tagliare a fette l’Occidente con il ricatto del gas, ha compiuto il miracolo di unire una Unione europea che invece, su tanti dossier internazionali, anche dopo l’attacco alle Torri Gemelle di New York e durante la guerra al terrorismo islamico, si è sovente posizionata in ordine sparso. Anche se, e pure questo aspetto deve essere riconosciuto, ciò che cementifica la compattezza europea di fronte alla Russia di Putin è inoltre o soprattutto la Nato.
Una Europa in mezzo al guado, condotta in tale posizione proprio da coloro i quali dicono di essere europeisti doc e affermano di combattere i nazionalismi di leader come Marine Le Pen o Viktor Orban, non può permettersi di andare troppo a fondo su determinate scelte dei singoli governi nazionali, in particolare quando esse non appartengono alla sfera della economia, dei bilanci pubblici degli Stati e della moneta unica europea.
Gli Stati che compongono gli Usa godono di ampi margini di autonomia decisionale circa svariati temi, (armi, droghe, pena di morte, diritti civili), e gli States formano una vera e propria Nazione, con un solo esercito, un solo inno e una sola bandiera.
Bruxelles è alimentata invece da una corrente alternata perché, evidentemente in base alle convenienze e alle opportunità del momento, a volte non si preoccupa di certe situazioni, quando al contrario dovrebbe intervenire come è stato perlomeno finora in merito alla immigrazione clandestina fronteggiata dall’Italia in solitudine, e in altre circostanze si intrufola laddove ha ben pochi titoli per esprimersi.
Dai piani alti della Unione europea, a cominciare da Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, si vuole punire ed umiliare in qualche modo il premier ungherese Viktor Orban, reo semplicemente di non accettare come oro colato tutto ciò che proviene dalle Istituzioni comunitarie, e per questo vittima di una caricatura mediatica, apprezzata dagli occupanti della stanza dei bottoni europea, che lo dipinge come un mezzo dittatore fascistoide, razzista e omofobo. È bene ricordare come il partito di Orban, (Fidesz, Unione Civica Ungherese), fosse fino a due anni fa, non decenni fa, un membro del Partito Popolare Europeo, la stessa casa politica continentale dove alloggia anche la Cdu tedesca in cui milita, guarda un po’, Ursula von der Leyen.
Quando Viktor Orban decise di aderire al Ppe non aveva idee e posizioni diverse da quelle manifestate di recente, eppure allora non sembrava essere così mostruoso per le anime belle d’Europa. Una parte di Europa, con l’intento di nuocere al premier di Budapest, si attacca alla ormai famosa legge ungherese, peraltro varata già nel 2021, riguardante la omosessualità, che è liberticida ed omofoba secondo il giudizio della Commissione europea, mentre mira unicamente, per il governo di Viktor Orban, a proteggere i bambini e gli adolescenti nelle scuole e durante l’utilizzo di media e social.
L’Ungheria è stata deferita alla Corte di Giustizia europea e la Commissione Ue vuole intentare una sorta di causa contro il governo di Budapest per il provvedimento ritenuto anti-Lgbt.
Quindici Paesi europei, fra i quali Francia e Germania, appoggiano l’azione legale che, fra l’altro, costituisce uno strumento piuttosto insolito, (mai fino ad ora la Ue si è mossa legalmente contro un proprio membro), e dagli esiti incerti visto e considerato che il governo ungherese non ha alcuna intenzione di ritirare la contestata legge. Se Viktor Orban continuasse, come appare sicuro, a mantenere in vigore la misura, che cosa potrebbe fare in concreto Bruxelles? Multare il premier ungherese, magari inviandogli una cartella esattoriale, oppure arrestarlo? Da qui si comprende come la causa legale europea sia più propagandistica che altro, e giustamente l’Italia non si allinea a tutto ciò, seguita da altri dieci Paesi Ue.
Non si dica che tutta l’Europa condanna Orban per la legge sulla omosessualità perché se è vero che fra i 15 supporter dell’azione legale vi sono Paesi considerati forti, come Francia e Germania, è altrettanto vero che l’Italia e gli altri dieci membri Ue rappresentano anch’essi, a pieno titolo e senza la necessità di ricevere particolari legittimazioni da chicchessia, la comunità continentale.
L’Italia non appoggia la causa intentata contro l’Ungheria anzitutto per una questione di metodo. Lo abbiamo scritto, c’è della ideologia e della propaganda nella “condanna europea” nei confronti di Budapest. Poi, la Unione europea, in quanto strutturata o mal strutturata in un certo modo, non ha l’autorevolezza necessaria per mettere in discussione qualsiasi legge varata dai governi nazionali. Vi sono anche ragioni di opportunità e di merito nella posizione italiana. Opportunamente, sarebbe saggio non consegnare del tutto Viktor Orban a Vladimir Putin. Non è un mistero, rispetto al resto d’Europa e anche al Governo italiano, il premier ungherese non si è mai schierato completamente contro la Russia, pure dopo l’aggressione di quest’ultima ai danni dell’Ucraina.
Ma se l’Europa si contrappone a Orban in modo ideologico e pregiudiziale, è chiaro che egli sarà sempre più tentato dall’abbracciare Putin e dall’abbandonare gradualmente l’Occidente. Sarà un caso o forse no, ma in questi giorni il ministro degli Esteri ungherese è volato a Mosca per stringere nuovi accordi su forniture di gas e nucleare. Anche nella sostanza della vituperata legge voluta da Orban, occorre fare qualche considerazione. A dar retta alla versione, diciamo così, mainstream sembrerebbe che in Ungheria abbiano aperto campi di concentramento per gli omosessuali, ma la verità è che il governo magiaro intende soltanto porre un freno ad una specie di lobbismo gender che in tutto l’Occidente ha trasformato i diritti civili in ideologia e imposizione perentoria, e chi cavalca determinate questioni, dalle istanze Lgbt alla difesa dell’ambiente, utilizzando forme di integralismo che non ammettono contraddittorio, beh, può fare solo danni.
I promotori più impegnati della causa gender, sia quelli situati agli alti livelli della politica occidentale che gli attivisti di varie associazioni, paiono non accontentarsi mai. Siamo onesti, gay e lesbiche non vivono una situazione difficile e drammatica oggigiorno, perlomeno in Nord America e in Europa. Le unioni omosessuali godono ormai di ampi riconoscimenti legali e in tantissimi casi possono essere regolate da matrimoni veri e propri, in numerosi Stati Usa, in quasi tutti i Paesi europei e pure in alcune nazioni latinoamericane.
Eppure, per alcuni paladini della “religione” Lgbt sembra che l’Occidente sia sempre all’anno zero sul fronte dei diritti civili, e si va oltre al giusto rispetto per le persone omosessuali, avanzando richieste francamente inaccettabili, dalle adozioni alla maternità surrogata e fino alla relativizzazione di tutto. È evidente e inquietante il tentativo di instillare il dubbio nei bambini e negli adolescenti circa la figura del padre e della madre, naturalmente necessari per creare una famiglia, e per quanto riguarda la sessualità, da mettere in discussione, secondo le teorie gender maggiormente mostruose, già nei primi anni di vita. Ogni individuo scopre da solo e nella crescita la propria sessualità, e non ha bisogno di un tutore o meglio, di un cattivo maestro che lo accompagni.
È bene chiarire come una certa lobby gay internazionale, anche se è influente e fa molto rumore mediatico, non rappresenti tutti gli omosessuali. Nella comunità omosessuale vi sono persone che sanno ragionare con la loro testa, e pensiamo al famoso stilista Domenico Dolce, il quale, in più di un’occasione, ha affermato di avere accettato il fatto di non poter essere padre e avanzare pretese incompatibili con la propria sessualità.
A causa di alcune esternazioni, per così dire, scorrette, Dolce viene considerato un po’ meno gay di altri perché se non la si pensa esattamente come vuole la vulgata ufficiale gender, si è falsi omosessuali o peggio, omofobi. È infine fastidioso che la propaganda Lgbt sia sempre pronta a fare le pulci alle democrazie occidentali, ma dica ben poco nei confronti di quei Paesi, primo fra tutti l’Iran degli ayatollah, dove gay e lesbiche vivono una realtà terribile, se viene consentito loro di vivere e di non morire impiccati.
A tutto questo insieme di degenerazioni e di ipocrisia, si oppone Viktor Orban e con il premier ungherese, anche Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia.