Il Pride, ossia, la manifestazione annuale della comunità LGBT, ha tenuto anche quest’anno la propria sfilata a Roma, oltre che, in contemporanea, in altre città italiane. La marcia arcobaleno romana, a differenza dell’edizione 2024, non ha più avuto l’onore di assistere ai balli scatenati sui carri allegorici di Elly Schlein, la quale, in un mondo quasi in fiamme, sente l’urgenza nel 2025 di partecipare invece al Pride in Ungheria dove, non ne dubitiamo, masse di persone omosessuali aspettano l’arrivo della segretaria del PD affinché possa vendicare i torti inflitti loro dal brutto e bruto Viktor Orban.
In compenso, oltre alla presenza in ogni caso di diversi esponenti politici della sinistra e del Sindaco di Roma Roberto Gualtieri, lo strimpellatore di Bella Ciao con la chitarra, il Pride di Roma ha avuto come “madrina” la cantante Rose Villain. Quest’ultima si è esibita in una propria performance canora, ma ha anche trovato il tempo di srotolare e sventolare una bandiera della Palestina come segno di solidarietà per la Striscia di Gaza. Quella di Rose Villain non è stata comunque la sola bandiera palestinese presente alla kermesse, ma in molti impugnavano il vessillo dei Territori. La vicinanza ideale a Gaza espressa dai partecipanti del Pride ha rappresentato una vistosa contraddizione che peraltro non è stata nemmeno l’unica.
I militanti LGBT, perché di militanza politica si tratta, al servizio poi del lobbismo internazionale gender e woke, che non chiede nuove libertà, ma briga per imposizioni innaturali, ci parlano tanto del loro presunto impegno per l’amore libero, la dignità di ogni individuo e la fratellanza senza barriere, e invece, anche dalle loro manifestazioni, un po’ come dai raduni Pro-Pal, emerge soprattutto odio ideologico e settario che con l’amore c’entra davvero poco.
Hanno mostrato immagini di Giorgia Meloni, definita come l’amica, (sic!), dei dittatori, Donald Trump, Benjamin Netanyahu, Elon Musk e la scrittrice britannica J.K. Rowling, di sinistra, ma troppo scorretta per gli pseudo-dogmi gender, tutte colorate in un certo modo per cercare di fare apparire questi personaggi come figure inquietanti. Non contenti, hanno girato a testa in giù, facendo apologia di Piazzale Loreto, le fotografie di Trump, Netanyahu, Musk e la “mamma” di Harry Potter. Un modo un po’ singolare per rivendicare diritti e amore per tutti. Che si tratti di battaglie LGBT o a favore della Palestina, c’è sempre una estrema sinistra di fondo con istinti violenti che manovra tutto. Tommaso Cerno, direttore de Il Tempo, da sempre gay dichiarato, anzi, egli ama definirsi “frocio” proprio per sbeffeggiare le follie politically correct, e uno degli organizzatori dei primi Gay Pride in Italia, ha precisato di non volere avere più nulla a che fare con manifestazioni come il Pride di qualche giorno fa dove l’obiettivo non è giungere a nuovi traguardi di libertà, ma demonizzare chi non ritiene di seguire alla lettera gli ordini del lobbismo gender globale.
Il Pride romano è stato la fiera delle contraddizioni e della malafede, e non dei diritti, perché, oltre allo squadrismo delle fotografie a testa in giù, vi è stato un chiaro posizionamento, visto lo sfoggio della bandiera palestinese da parte della cantante Rose Villain e di tanti altri, contro lo Stato di Israele, che ha combattuto finora il terrorismo di Hamas a Gaza ed ora sta affrontando l’Iran degli Ayatollah. Una persona omosessuale che crede sia giusto inserire Israele fra i criminali e i colpevoli delle guerre, e magari solidarizzare con i nemici dello Stato ebraico, o è infinitamente tonta, oppure, come è facile pensare a proposito degli animatori del Pride di Roma, è appunto in malafede. In quel lembo di terra costituito da Israele, Cisgiordania e Gaza, solo nella tanto detestata Nazione governata da Bibi Netanyahu il mondo LGBT ha diritti, libertà e sicurezza, mentre per Hamas e pure per l’Autorità Nazionale Palestinese non è accettabile neppure la sola esistenza sulla faccia della Terra di uomini e donne omosessuali.
Altro che manifestare liberamente, e giustamente per carità, come accade nell’Italia della “amica dei dittatori” Giorgia Meloni. Vista la doppiezza degli attivisti LGBT, ci aspettiamo che alla prossima occasione pubblica essi sventolino anche la bandiera iraniana per solidarizzare con gli Ayatollah aggrediti dal guerrafondaio Netanyahu. Sì, i fondamentalisti di Teheran che condannano a morte mediante impiccagione i gay solo per la loro sessualità.