Nelle democrazie sono tanti i temi che dividono i conservatori dagli avversari progressisti, e uno di questi è sicuramente l’argomento delle tasse, dei soldi pubblici e del funzionamento dello Stato sociale. In genere, i conservatori vedono nel prelievo fiscale uno strumento per finanziare quei servizi che non possono essere ceduti in alcun modo a soggetti privati, ma cercano di allontanare lo spettro di imposte punitive e magari classiste, che sono destinate a danneggiare famiglie e imprese comprimendo il loro potere d’acquisto e di investimento. Il bilancio statale deve essere mantenuto in ordine con una spesa oculata e razionale perché poi, per i conservatori, non si può andare a spremere il cittadino e chiedergli di contribuire più di quanto egli possa permettersi per rimettere in carreggiata dei conti dissestati.
I progressisti, socialisti e liberal tendono invece a preferire l’assistenzialismo improduttivo, ben diverso dalla doverosa mano tesa dello Stato verso i più bisognosi, che costa più di quanto offre e nel frattempo prosciugano i risparmi dei contribuenti a suon di tasse per coprire i buchi nei conti pubblici creati da politiche falsamente compassionevoli. Con una mano danno, poco, e con l’altra tolgono, molto. È il celebre “tassa e spendi” delle sinistre occidentali, anche se, per carità, non mancano eccezioni dovute a qualche conservatore che non fa il proprio dovere oppure a quei progressisti che capiscono che una tassazione iniqua possa pure determinare la morte del tessuto economico e sociale di una Nazione. Per esempio, il premier britannico laburista Tony Blair, tanto osannato dagli ulivisti di casa nostra, non si discostò dalla impostazione lasciata dai Tories e da Margaret Thatcher. In ogni caso, a parte poche vicende politiche particolari come il blairismo, le differenze fra destra e sinistra su tasse e welfare si notano eccome, sia nelle Americhe che in Europa.
In Italia ha fatto a lungo il bello e il cattivo tempo una sinistra la quale, più che essere erede del socialismo democratico, arriva in pratica dallo statalismo comunista, e con siffatte origini il Partito Democratico della nostra Penisola, per quanto abbia mutuato la ragione sociale dai meno ideologizzati dem d’America, non si è mai posto il problema di un carico fiscale elevato gravante sui lavoratori autonomi e sulle piccole imprese, più che su grandi aziende e multinazionali. Anzi, secondo gli antichi pregiudizi comunistoidi, chiunque abbia una partita IVA deve pagare molto perché sarebbe ricchissimo. Al paternalismo truffaldino di post-comunisti e cattolici di sinistra, si è aggiunto l’assistenzialismo peloso del Movimento 5 Stelle per il quale il denaro dello Stato sarebbe infinito e permetterebbe di foraggiare tutti indistintamente, anche coloro i quali potrebbero individuare da soli forme di sostentamento, ma preferiscono aspettare la manina pubblica dal divano di casa. Gli ultimi anni prima dell’arrivo di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, quelli dei governi caratterizzati da una forte influenza giallo-rossa, PD e M5S insieme, sono stati terribili sul fronte del “tassa e spendi”.
Venivano distribuiti soldi a pioggia con il Reddito di cittadinanza, senza alcuna seria verifica sui requisiti dei beneficiari di questo aiuto sociale e con il Super bonus edilizio si scavava una fossa enorme nel bilancio pubblico, per la quale pagheremo ancora per anni, a fronte di un numero esiguo di ristrutturazioni a livello nazionale. La coalizione conservatrice e patriottica capitanata da Giorgia Meloni e da Fratelli d’Italia è stata scelta nel 2022 dagli italiani anche o soprattutto per porre fine ai succitati scempi e radicare al governo della Nazione una politica alternativa al welfare “allegro” e fasullo di PD e M5S. La premier e la classe dirigente del Governo hanno compreso da subito la natura della missione affidata loro dalla maggioranza del corpo elettorale, anche perché si sono candidate per essa, non per scaldare la sedia come ripete sempre il Presidente del Consiglio, e poi fa la sua parte il DNA della destra, che, come abbiamo sommariamente spiegato, è ben diverso da quello dei progressisti e socialisti.
Il Governo Meloni si è imposto, sulle tasse e su tanti altri problemi cronici italiani, un metodo di lavoro ispirato a costanza e contemporanea gradualità, inevitabile, quest’ultima, a causa della situazione ereditata, i conti scassati da PD e M5S, e della congiuntura internazionale, guerre ed inflazione, che è migliorata poco rispetto al 2022. Meglio fare un passo alla volta, ma senza dover tornare indietro con imbarazzo, come è successo negli anni passati pure a governi di centrodestra. Quindi, con responsabilità e consapevolezza, il Governo Meloni taglia le tasse, riduce il prelievo fiscale, storicamente pesante in Italia, (lo ha già fatto con il cuneo in busta paga e l’IRPEF), quando, come e dove si può, magari a piccoli passi, ma sempre avanti nella direzione di un sostanziale alleggerimento, accompagnato dalla razionalizzazione della spesa pubblica. Meglio, per intenderci con parole semplici, dieci euro in meno di una tassa tipo il canone Rai che un balzello in più, come ci hanno purtroppo abituato le politiche del PD e di qualche tecnocrate. Devono continuare ad esserne consapevoli tutti gli attori della maggioranza che sostiene Giorgia Meloni.
Caro Roberto, sante parole, ma purtroppo solo parole.
Per i conservatori, e per i liberali (con la “i” in fondo), il reddito di ciascun cittadino è suo, e può essere prelevato dallo Stato solo per validi motivi, per servizi necessari non finanziabili altrimenti, dei quali lo Stato, come ogni beneficiario che amministra soldi degli altri, deve rendere conto puntualmente ed esaustivamente ed in modo trasparente.
Qui siamo da tempo all’opposto: il fisco preleva la maggior parte del reddito, compresi redditi presunti o addirittura mai prodotti, e lo Stato tende a prevalere nella vita dei cittadini in modo prevaricatorio.
Il problema è la spesa pubblica.
La politica, purtroppo anche quella di questo Governo, vive sulla spesa.
Infatti solo una minoranza dei cittadini paga le tasse – non per evasione, no! per legge.
Le imposte sui redditi sono pagate solo dalle aziende e dai lavoratori autonomi, che per beffa vengono anche accusati di evadere.
I lavoratori dipendenti non pagano un euro di imposte dirette, con buona pace dei sindacati: per loro pagano le aziende. E non raccontatemi la favola che sono soldi dei lavoratori: se fossero loro, perchè non se li fanno dare? Vietato. Sono soldi delle aziende versati al fisco per poter dare uno stipendio ai dipendenti.
Le imposte ai pensionati sono una partita di giro, lo Stato dà e lo Stato prende.
Però la maggioranza dei cittadini fruisce di servizi pubblici, buoni o meno buoni che siano.
Quindi promettere più spesa politicamente “paga” perchè i fruitori della spesa sanno che la pagheranno altri.
Questa situazione porta al disastro finanziario, cone vediamo, con danni per tutti. Ma, ognuno pensa, il danno verrà domani, sulla testa dei nostri figli, oggi tiriamo avanti.
E allora?
Allora una svolta nella politica fiscale, cioè una diminuzione delle tasse (ma non “zero-virgola”!) può avvenire solo con un drastico taglio della spesa pubblica.
Chi scrive è disponibile per dimostrare che è possibile, con beneficio dei cittadini, tagliare la spesa pubblica di un buon 20% (non zero-virgola) in quattro anni.
Quando vedrò questo realizzarsi, allora sarò veramente convinto che abbiamo un Governo “conservatore-liberale” (con la “e” in fondo, mi raccomando….)
Con affetto
Alessandro