La notte di Capodanno a Milano è stata segnata da scene di caos e vandalismo. Bande di giovani, tra cui molti ragazzi di origine straniera o italiani di seconda generazione, si sono rese protagoniste di atti di violenza e insulti alle forze dell’ordine. Questi episodi non sono solo il frutto un’intemperanza giovanile, ma il sintomo di un problema molto più profondo che nasce dal degrado delle periferie e dall’incapacità, per decenni, di gestire il fenomeno migratorio.
Le periferie italiane, volute negli anni ’70 e ’80, rappresentano il fallimento di una visione urbanistica miope. Concepirle come quartieri dormitorio, lontani dai centri e poveri di servizi, infrastrutture e opportunità lavorative, sono state terreno fertile per l’emarginazione sociale e la criminalità.
Concentrare in queste zone confinate povertà e disagio, unitamente a comunità di immigrati con difficoltà ad integrarsi, ha creato un terreno fertile per la nascita e lo sviluppo delle bande giovanili. I giovani che ne fanno parte spesso cercano un senso di appartenenza e una via di fuga dalla monotonia e dalla frustrazione, trovando nelle gang un rifugio e un’identità.
Ovviamente non tutti i giovani immigrati sono coinvolti in attività criminali. La presenza, però, di una minoranza deviata e una gestione dell’immigrazione inefficace, hanno contribuito a creare un clima di tensioni e diffidenza.
Un esempio concreto di come si possa intervenire per invertire questa tendenza è rappresentato dalla riqualificazione del parco di Caivano, voluta dal Governo Meloni. Questo intervento, che ha visto il recupero di spazi urbani e la creazione di nuovi servizi, rappresenta un modello virtuoso che può essere replicato in altre periferie d’Italia. Riqualificare il tessuto urbano significa offrire nuove opportunità educative, sociali e lavorative, spezzando il ciclo di marginalità che alimenta fenomeni come la criminalità e le bande giovanili.
Per oltre vent’anni, i governi di sinistra hanno affrontato l’immigrazione come fosse un’emergenza temporanea, senza mai adottare una strategia di lungo periodo. I flussi migratori sono stati lasciati alla mercede delle ONG straniere e ai trafficanti di esseri umani, con politiche inadeguate e spesso improvvisate. Questo approccio ha contribuito a sovraccaricare i sistemi di accoglienza e a creare tensioni sociali nelle periferie, dove spesso vengono destinati gli immigrati, per un motivo o per l’altro.
Con il Governo Meloni si è iniziato a parlare di una gestione più rigorosa e strutturata, riconoscendo che l’immigrazione non è una crisi passeggera ma un fenomeno che va governato e che richiede controllo, pianificazione e risorse economiche.
Tra le principali iniziative che sta attuando da questo Esecutivo, spiccano:
Gli accordi bilaterali con i Paesi di origine: per regolare gli arrivi e stabilire quote annuali di ingresso basate sul fabbisogno del mercato del lavoro italiano. Questi accordi includono anche il rimpatrio di chi arriva irregolarmente o si rende responsabile di reati.
Il blocco dell’immigrazione clandestina: con il rafforzamento dei controlli alle frontiere e collaborazione con Paesi terzi (vedi accordo Italia-Albania) per contrastare il traffico di esseri umani.
Politiche di integrazione: creazione di programmi specifici per favorire l’inserimento degli immigrati regolari nella società con l’apprendimento della lingua italiana e l’accesso al lavoro.
Il fenomeno delle bande giovanili e il degrado delle periferie sono strettamente legati alla mancanza di una gestione efficace dell’immigrazione e dell’integrazione. Per affrontare questa sfida, è necessario un doppio binario: riqualificare le periferie, seguendo l’esempio di Caivano, e adottare una politica rigorosa contro la criminalità ma inclusiva verso la popolazione.
L’Italia ha il dovere di accogliere chi è in grado di rispettare le leggi, integrarsi nella società e contribuire al benessere collettivo. Ma deve anche proteggere i suoi cittadini, garantendo sicurezza e opportunità per tutti e deve poter respingere chi le minaccia. Solo così sarà possibile spezzare il ciclo di degrado e costruire un futuro più equo, sicuro e inclusivo. Si chiama senso di appartenenza e dello Stato.