La barzelletta dell’informazione controllata dal Governo Meloni

Chi siede fra i banchi parlamentari della opposizione, in qualsiasi democrazia di questo mondo, ha essenzialmente il dovere di non tifare contro la sua stessa Nazione solo per vedere in difficoltà la maggioranza avversaria, e il diritto-dovere di criticare e contrastare quest’ultima, attraverso tutte le regole previste dal pluralismo politico. Però, quando la legittima critica diviene pretestuosa e strumentale, sino ad assumere connotazioni ridicole, essa deve essere rispedita al mittente. Il Governo presieduto da Giorgia Meloni e la coalizione di centrodestra che lo sostiene sono stati quasi sempre oggetto, dal 2022 ad oggi, di attacchi scomposti, sterili ed ideologici, lanciati soprattutto dal Partito Democratico, dal Movimento 5 Stelle e da quella che anni fa veniva identificata come intellighenzia di sinistra, sparpagliata nei media e nelle case editrici.

Poche le osservazioni concrete e costruttive nel merito dell’azione quotidiana della premier Meloni e dei suoi ministri. Forse perché è difficile rintuzzare l’opera di un Governo che, pur essendosi insediato in un contesto italiano e mondiale cupo, è riuscito a compiere scelte significative e coraggiose come lo stop allo sperpero di denaro pubblico derivante dal Superbonus edilizio e da un Reddito di cittadinanza pensato male e gestito peggio. Come si può fare le pulci con successo ad un esecutivo che è consapevole delle difficoltà, domestiche ed internazionali, ma non le utilizza come pretesto per vivere di immobilismo? Infatti, la riduzione della imposizione fiscale è già in atto, con la progressiva limatura del cuneo in busta paga, e si è solo all’inizio di un cammino.

La riforma istituzionale del premierato e della Autonomia differenziata sta compiendo il suo percorso in Parlamento e lo stesso si può dire delle innovazioni nel campo della Giustizia. Cosa vuoi dire ad un Governo che raggiunge tutti gli obiettivi del Pnrr e si muove in Europa e in Occidente a testa alta, senza alcun cappello in mano? Ci si mettono anche l’economia e la fiducia di consumatori e imprese ad andare meglio di ogni previsione, nonostante la congiuntura impegnativa, e davvero, non si sa proprio più come fare al fine di rovinare le certezze di Giorgia Meloni. Allora, ci si impegna in improbabili battaglie dedicate a problemi inesistenti o quantomeno inconsistenti, che oltrepassano il senso del ridicolo. Una sventurata ragazza, e qui, per carità, non c’è nulla da ridere, viene uccisa dal proprio ex fidanzato, perciò, si sceglie di agitare lo spettro del patriarcato, che sarebbe fomentato nientemeno che da questo Governo, guidato peraltro, forse qualcuno a sinistra non se ne è ancora accorto, da una donna. Alcuni estremisti di sinistra, i cosiddetti pro-Palestina, non si limitano a portare in piazza pacificamente le loro idee, ma si rendono protagonisti di violenze e vandalismi, costringendo le Forze dell’Ordine ad intervenire.

La sinistra non distingue fra chi delinque e chi, Polizia e Carabinieri, fa rispettare doverosamente la legge, ma denuncia l’esistenza di un fantomatico regime poliziesco che avanzerebbe a suon di manganellate. Parlare di patriarcato e manganelli può provocare, lì per lì, un qualche rumore mediatico, ma poi, non può che trasformarsi in una barzelletta considerato che sia il primo che i secondi non hanno nulla a che fare con l’Italia di oggi e con coloro i quali la governano in questo momento. Un semisconosciuto scrittore, tale Antonio Scurati, doveva leggere un monologo dedicato alla Liberazione in una trasmissione televisiva della Rai, ma, per il mancato accordo sul compenso economico da destinare all’oratore, perché l’antifascismo militante ha il suo prezzo, l’apparizione TV è venuta meno.

Tale episodio viene ora cavalcato da PD e compagni per tentare, senza particolare successo, di convincere l’opinione pubblica che in Italia sia entrata in vigore la censura, applicata dal Governo Meloni sulla televisione di Stato a scapito delle opposizioni parlamentari e di tutte le voci critiche come quella di Antonio Scurati. In Rai c’è di tutto, e di più, come recitava un celebre spot di Viale Mazzini, e sinceramente non notiamo alcuna ferrea occupazione da parte di fedelissimi meloniani. Coloro i quali sono scomparsi dai palinsesti della TV pubblica, (Fabio Fazio, Luciana Littizzetto, Corrado Augias e qualche altro), hanno presentato regolari e volontarie dimissioni, e non sono stati cacciati o epurati da nessuno. A Mediaset troviamo Bianca Berlinguer, la quale è tutto fuorché una simpatizzante della destra. Esistono emittenti private, pensiamo a LA7 e Nove, connotate da un pensiero unico che è anzitutto opposto a quello del Governo e che non concede nemmeno la possibilità di fruire di trasmissioni, per così dire, impostate un poco diversamente fra di loro. Su Rete 4, ad esempio, c’è la figlia dello storico leader comunista Enrico Berlinguer, ma possiamo essere telespettatori anche di Nicola Porro, Mario Giordano e Paolo Del Debbio, mentre i talk show di LA7, di ogni fascia oraria, sono pressoché tutti uguali in una chiara caratterizzazione non di certo benevola verso il Governo di centrodestra.

Se c’è un regime in Italia, beh, esso pare abbastanza sgangherato e se le intenzioni di Giorgia Meloni sono quelle di controllare l’informazione, dobbiamo osservare come la premier non sia granché capace di asservire a sé televisioni e giornali. Farebbe bene a prendere lezioni proprio dal PD e dal sinistrume vario. Loro sì che sanno creare, lo fanno da una cinquantina di anni, la giusta cappa di conformismo nella informazione pubblica e privata, ed escludere, con demonizzazioni o irrisioni, le idee giudicate a priori scorrette. Infatti, vedere il Partito Democratico e i suoi diversi sodali accusare, con una faccia tosta incredibile, l’attuale maggioranza di governo di tentazioni censorie, suscita indignazione, ma anche, al tempo stesso, una certa ilarità dovuta alla disarmante mancanza di vergogna delle sinistre. Quella è la parte della politica italiana più esperta nella costruzione di muri di odio ideologico, nelle conventio ad excludendum, nelle censure e nelle criminalizzazioni degli avversari scomodi. Chi non risulta conveniente deve essere bandito dal dibattito politico e può ricevere attenzione solo quando ci sono le condizioni per alimentare ulteriori campagne denigratorie.

La destra politica, attraverso tutte le proprie fasi storiche, ha conosciuto bene e subìto il regime culturale, il termine è più che appropriato, mantenuto in piedi a lungo da comunisti e post comunisti, per fortuna a volte respinto dagli italiani. Ancora prima di Fiuggi e di Alleanza Nazionale, il Movimento Sociale Italiano, con il motto “Non rinnegare, non restaurare” e l’operazione politica della Destra Nazionale, aveva già ben chiarito il rapporto con il fascismo, eppure, le donne e gli uomini della Fiamma Tricolore, da Giorgio Almirante sino all’ultimo militante di provincia, dovevano essere tenuti ai margini della vita politica perché fascisti, repubblichini e fucilatori. Senza essere di stretta osservanza missina, si poteva comunque incappare nella inquisizione rossa. Era sufficiente dichiararsi conservatori o liberali di destra e mettere in discussione i dogmi della sinistra per venire etichettati come fascisti o almeno complici dei fascisti. Ricordiamo il disprezzo riversato su Edgardo Sogno, comandante partigiano avente però il brutto difetto di essere non solo antifascista, ma anche, visceralmente, anticomunista. Non bisogna sorprendersi se il 25 aprile rimane tutt’oggi fonte di divisioni. La dittatura culturale del PCI-PDS-DS-PD ha trasformato negli anni la ricorrenza della Liberazione in una festa di sua proprietà esclusiva, emarginando tutto il resto dell’antifascismo.

La destra non scappa dal 25 aprile, ma è la sinistra che non l’ha mai voluta vicina. Se anche, per dire, Giorgia Meloni decidesse di presentarsi alle manifestazioni dell’ANPI con un fazzoletto rosso intorno al collo, ciò non sarebbe comunque sufficiente. I professionisti odierni del martirio, i fuoriusciti della Rai e l’ultimo arrivato, Antonio Scurati, non sono altro che gerarchi di un autoritarismo strisciante, il quale si ritiene l’unico depositario del bene e della verità, e tutto il resto, non è noia, ma fascismo da ricondurre nelle fogne. Scurati, passato dal quasi anonimato alla celebrità grazie proprio alla mancata apparizione televisiva, non ha opinioni granché serene visto che crede che Fratelli d’Italia, guidato da una donna nata nel 1977, debba ancora fare i conti, (sic!), dopo le evoluzioni del MSI, Fiuggi e il Popolo della Libertà, con il fascismo. Chi si sente l’unto dal Signore e pensa di avere il diritto naturale di giudicare dall’alto in basso coloro i quali non gli sono graditi, ha inevitabilmente mentalità e approccio autoritari, e se ne avesse la possibilità, diventerebbe come il dittatore nordcoreano Kim Jong-un.

La tentazione di omologare e forzare il dibattito ha caratterizzato molte stagioni politiche in Italia, dalla criminalizzazione del solo Bettino Craxi, quando invece era un intero sistema a collassare su sé stesso, alla persecuzione giudiziaria e ideologica organizzata contro Silvio Berlusconi, fino ad arrivare al “razzista” Matteo Salvini e alla “fascista” Giorgia Meloni. Non possiamo dimenticare neppure il periodo buio del Covid e del conformismo sistematico imposto dai giallorossi e dai media compiacenti. Bastava permettersi di contraddire l’uso indiscriminato dei DPCM e il ricorso eccessivo ai lockdown per essere subito censurati, isolati e gettati nel girone infernale dei complottisti no vax e degli irresponsabili che se ne infischiavano dei morti. La destra ha da imparare dalla sinistra solo se vuole smettere di essere conservatrice e patriottica, e intende vestire i panni di una forza autoritaria e illiberale.

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Roberto Penna
Roberto Penna
Roberto Penna nasce a Bra, Cn, il 13 gennaio 1975. Vive e lavora tuttora in Piemonte. Per passione ama analizzare i fatti di politica nazionale e internazionale da un punto di vista conservatore.

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