Almasri è da giorni nella sua Libia e noi, qui in Italia, stiamo ancora chiedendoci il perché. O meglio, il motivo è chiaro: questione di sicurezza nazionale. Non era opportuno trattenere ulteriormente un uomo che non è un semplice trafficante di uomini, ma un generale, che ha delle truppe anche abbastanza violente che avrebbero potuto esacerbare le tensioni nel Mediterraneo. Non è fare il gioco dei criminali, ma è pensare anche un po’ a noi stessi, ai nostri interessi. Cosa che dovrebbe risultare facile a tutta la politica, e non solo a parte di essa.
In Italia, si diceva, ci si scervella per capire come sono andate le cose. Le opposizioni si murano dietro facilissimi slogan: “Meloni difende i trafficanti ma ne libera uno”, dicono dal Pd, anche se ormai è assodato che Almasri non era un semplice trafficante. Il governo, dal canto suo, appare tranquillo e ha dalla sua parte la cronologia degli eventi: il libico ha vagato per mezza Europa per quasi due settimane, il mandato d’arresto della Corte penale internazionale arriva soltanto quando Almasri è già in Italia (la prima di tante stranezze). È il 18 gennaio. Il giorno dopo, viene arrestato e solo il 20 gennaio, ad arresto già avvenuto, da Torino inviano la comunicazione al ministro Nordio, che in quanto guardasigilli cura i rapporti con la Cpi. Per questo, la Corte d’Appello di Roma il 21 ha disposto l’immediata scarcerazione dell’uomo. Tutto dalla parte del governo, insomma.
Ma desta scalpore la scelta di procedere con una denuncia per Meloni, Piantedosi, Nordio e Mantovano. Scalpore perché, malgrado le evidenze, il procuratore Lo Voi ha comunque iscritto i membri del governo nel registro degli indagati. Anche l’accusa di peculato non sembra reggere: il volo di Stato è usato spesso in casi del genere. Almasri avrebbe potuto viaggiare su un volo di linea, certo, mettendo però a rischio l’incolumità di decine di persone. Meglio evitare, no? Data la delicatezza del tema e il peso internazionale che ha assunto, probabilmente sarebbe stato meglio far fronte comune e stare dalla parte del governo. Ma tant’è.
Soffermiamoci per un momento sull’autore della denuncia. Luigi Li Gotti, avvocato calabrese, in passato membro di uno dei governi Prodi. Li Gotti, questa mattina a Repubblica, ha detto che “la politica in questa storia non c’entra nulla. Io ho fatto quell’esposto da cittadino. Sdegnato da quanto era accaduto”. Ma appare piuttosto curioso che un cittadino, seppur si tratti di un avvocato di lungo corso, abbia deciso, dalla sera alla mattina, di denunciare il governo italiano. Imbattersi in una causa, da privato, contro l’organo esecutivo più importante della Nazione. Una strana e insolita decisione da prendere per chiunque cittadino. Pensare al peggio, purtroppo, è una tendenza umana, ipotizzare un certo collegamento tra la denuncia e la vicinanza dell’avvocato alla sinistra viene facile, quasi scontato. Meloni, nel farlo pubblicamente, ha svelato gli altarini e ha fatto capire, per chi vuole capire, quanto occorra riformare certa magistratura.