Il ruolo della minoranza e della opposizione parlamentare, essenziale in democrazia, prevede, non solo il diritto, ma il dovere di criticare e contraddire, quando serve, l’operato di chi governa. Bisogna però cercare di influire nel dibattito politico e mobilitare l’opinione pubblica con osservazioni fondate perché le polemiche un tanto al chilo, che vengono smentite dai fatti un secondo dopo, non fanno bene al confronto democratico e nemmeno a coloro i quali le promuovono. Siamo, meno male, in un sistema pluralista e ognuno può scegliere di dire tutto ciò che vuole, anche se rischia di rimediare soltanto una figuraccia, tuttavia, sempre nel nome della libertà, se una determinata dichiarazione appare più sciocca che intelligente, è giusto fare notare il peso della fesseria proferita. Ecco, da un lato le opposizioni in Italia hanno il diritto di descrivere, a livello politico s’intende e al netto di insulti personali, la premier Giorgia Meloni come meglio ritengono e disegnare una Nazione, ovviamente isolata, cornuta e mazziata, che non esiste, ma dall’altro lato si può, con altrettanta legittimità, sottolineare che tante delle affermazioni pronunciate sin qui dai principali leader della sinistra, (Elly Schlein, Giuseppe Conte, Matteo Renzi e i compagni di Alleanza Verdi e Sinistra, siano stupide e null’altro.
Il Governo Meloni rimane saldo nel cuore della maggioranza degli italiani e Fratelli d’Italia gode della fiducia di più del 30 per cento dell’elettorato, mentre il centrosinistra non riesce neppure a compattarsi in un’alleanza definitiva, (il campo largo non viene più menzionato), e, nel merito delle cose fatte ogni giorno dall’esecutivo, fatica ad interpretare un controcanto credibile. Perciò, disperati e consci della loro debolezza, Schlein, Conte e sodali vari, si lanciano in attacchi ridicoli e sentono la necessità, per provare a darsi un tono che peraltro non aiuta a recuperare il consenso, di scagliarsi a tutti i costi contro il Presidente del Consiglio, anche quando non è davvero il caso e correndo pure il rischio di entrare in rotta di collisione con le loro stesse posizioni politiche. Giorgia Meloni ha preferito non partecipare al summit dei cosiddetti “volenterosi”, etichetta data alla consultazione continua dedicata all’Ucraina fra Germania, Polonia, Francia e Regno Unito, sebbene Londra, come Roma, creda che l’asse occidentale pro-Kiev non possa permettersi di fare a meno di Washington. La premier ha dato forfait perché vede in tutto ciò un pericolo disgregante per l’Occidente, che deve coordinare ogni propria azione per l’Ucraina senza tentazioni divisive fra USA e UE e senza personalismi, magari di qualche leader in crisi e in cerca di riscatto come il presidente francese Emmanuel Macron. Deve essere chiaro, in ogni caso, il fatto che nessuno dei volenterosi abbia escluso l’Italia, ma che sia stato lo stesso Governo a decidere di procedere con i partner europei e il Regno Unito attraverso altri format.
La premier Meloni si sente in maniera regolare sia con il neo-cancelliere tedesco Friedrich Merz che con il primo ministro britannico Keir Starmer, con i quali, fra l’altro, Palazzo Chigi ha parlato prima e dopo la telefonata intercorsa fra Donald Trump e Vladimir Putin. Eppure, la non partecipazione italiana all’ultimo incontro dei volenterosi ha spinto scioccamente Giuseppe Conte ed Elly Schlein a girare la frittata e a raccontare di una Giorgia Meloni isolata nel contesto internazionale che, tapina, non verrebbe chiamata da nessuno, nemmeno per via telefonica e figuriamoci poi ai vertici, e che avrebbe relegato l’Italia in un angolo per sue antipatie personali verso Macron.
Come abbiamo scritto all’inizio, il controcanto in democrazia è sempre legittimo, ma quando esso è manifestamente imbecille e viene travolto dalla realtà dei fatti, beh, ciò deve pure essere segnalato in qualche modo. Peraltro, i così chiamati volenterosi, che sembrano essere entrati nelle grazie di Schlein e Conte, sono convinti assertori della maggiore spesa europea in termini di difesa militare, mentre il capo del M5S, se non ha cambiato idea negli ultimi giorni, è contrarissimo al ReArm Europe, e la segretaria del Partito Democratico dovrebbe pensarla allo stesso modo, per quanto sia complicato comprendere le reali posizioni della sfuggente Elly, la quale, oltre agli slogan imparati a memoria e agli strali contro l’avversaria Giorgia che trasudano soltanto una specie di invidia infantile, non dà mai risposte certe circa la linea che il PD intende avere sul riarmo europeo come su tanti altri argomenti cruciali. Devono attaccare comunque, anche se sono sprovvisti di ragioni spendibili, il Presidente del Consiglio e non si accorgono neanche di cadere in evidenti contraddizioni. Fanno poi la figura dei cioccolatai e l’imbarazzo è stato in effetti immediato perché, subito dopo la solenne scemenza della “Meloni isolata che non viene chiamata da nessuno”, la premier ha ricevuto nel giro di pochissime ore a Palazzo Chigi ben tre leader mondiali, ovvero, il primo ministro canadese Mark Carney, il presidente del Libano Joseph Aoun e il cancelliere tedesco Merz. Poi, l’incontro con il premier albanese Edi Rama, che si è addirittura inchinato di fronte alla sua omologa italiana mettendola persino in imbarazzo. L’eccezionale sintonia che si è radicata fra Edi Rama, il quale è socialista e tale rimane, e la premier conservatrice italiana, è la migliore rappresentazione della politica estera di Giorgia Meloni che, per tutelare l’interesse nazionale e determinate prerogative delle democrazie occidentali, supera i provincialismi e le bandiere di partito.
Dulcis in fundo, l’organizzazione e la riuscita dell’incontro a Palazzo Chigi fra il vicepresidente americano JD Vance e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, con la presenza ulteriore del Segretario di Stato USA Marco Rubio. Vance, Rubio e von der Leyen si trovavano a Roma per la Messa di inizio pontificato di Papa Leone XIV, e il Presidente del Consiglio, così come ha proceduto in occasione dei funerali di Papa Francesco per lanciare il disgelo tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky, ha approfittato, nel senso migliore di questo verbo, della presenza nella Capitale sia dei più alti esponenti, dopo Trump, dell’Amministrazione USA che della numero uno della Commissione UE, per iniziare a favorire l’inevitabile dialogo euro-americano in vista dei prossimi negoziati riguardanti il tema dei dazi e anche del processo di pace che sembra partire per l’Ucraina.
L’Italia è sempre più centrale nel confronto transatlantico e costituisce il ponte fra gli Stati Uniti d’America e l’Europa, che, come hanno convenuto sia Vance che Ursula von der Leyen, fanno parte di uno stesso sistema di valori e non possono permettersi guerre fratricide a causa delle tariffe doganali. Gli accordi sono più numerosi dei disaccordi, hanno affermato JD Vance e Ursula, seduti accanto a Giorgia Meloni. La presidente della Commissione europea ha detto di credere molto in un maggiore impegno dell’Unione nella NATO, come auspicano da sempre l’Amministrazione Trump e pure i conservatori di ECR. JD Vance ha rimarcato il sostegno suo e del presidente Trump al ruolo di “pontiera” in cui si è calata la premier Meloni, dimostrando di possedere grandi virtù diplomatiche. Ma sì, che Elly, Giuseppi e compagnia ciarliera continuino sereni ad esternare stupidaggini perché poi avviene l’esatto contrario rispetto alle loro imbecillità.