Donald Trump è stato finora il leader americano più perseguitato dalla Giustizia. Sì, dobbiamo parlare di persecuzioni giudiziarie perché molte delle inchieste che sono state avviate a carico del presidente eletto degli Stati Uniti hanno avuto sin da subito una forte connotazione politica. Accuse fumose che giungono apposta in una determinata fase della politica e che riguardano un importante attore della stessa, non possono che rendere dubbia la buonafede degli inquirenti e fare pensare all’uso inappropriato dei Tribunali mirato ad interrompere il cammino di una personalità scomoda, soprattutto perniciosa per alcuni poteri ed interessi.
Dopo la controversa conclusione delle elezioni presidenziali del 2020 e l’assalto a Capitol Hill, si è iniziato ad alimentare la percezione relativa ad un Donald Trump oramai in disarmo e senza più quel feeling con l’America profonda. Tale sensazione non è durata granché perché dopo qualche tempo in molti, fra i quali proprio i detrattori del trumpismo, si è radicata la consapevolezza che il tycoon non si sarebbe arreso tanto facilmente ed avrebbe ripreso in mano il Partito Repubblicano attraverso una nuova vittoria alle primarie, con la possibilità concreta di tornare alla Casa Bianca, come poi è successo. Quindi, con il tempismo perfetto di chi utilizza la macchina giudiziaria per tentare di investire l’avversario sgradito, in Italia conosciamo purtroppo bene certi meccanismi odiosi, sono state avviate le varie e note inchieste a carico di Trump al fine di scoraggiarlo dall’intraprendere una nuova avventura politica e almeno di provare a frenare la sua avanzata prima nelle primarie repubblicane e poi, in occasione delle Presidenziali.
Come ci ha raccontato il risultato del 5 novembre scorso, il tintinnio di manette non è servito a nulla perché, per fortuna, gli elettori americani, come anche quelli italiani, sono sufficientemente maturi da giudicare in autonomia e da non lasciarsi trascinare al guinzaglio da chi fa politica nelle aule di Giustizia. Le ultime notizie riferiscono di un significativo allentamento della pressione giudiziaria nei confronti del presidente Trump. Ciò è dovuto sia al fatto che ormai l’utilità e gli scopi delle inchieste ad orologeria siano venuti meno, considerata l’imponente vittoria elettorale del tycoon, che alla necessità di una Nazione come gli Stati Uniti d’America di avere un Comandante in Capo non limitato ed azzoppato da grane giudiziarie.
Il 26 novembre doveva essere stabilita la pena per il presidente nel quadro del processo concernente i presunti pagamenti in nero che Trump avrebbe fatto a favore della pornostar Stormy Daniels, ma i giudici di New York, competenti in questo procedimento, hanno rinviato a tempo indefinito il loro pronunciamento. La difesa aveva chiesto l’archiviazione totale richiamandosi al Presidential Transition Act del 1963, che tutela da interferenze i passaggi di potere fra diverse Amministrazioni, come accadrà presto fra l’uscente Joe Biden e il presidente eletto Donald Trump, ma che i giudici della Grande Mela abbiano comunque optato per rinviare la decisione senza fissare una data, è già un segnale inequivocabile. Un’archiviazione completa è in ogni caso giunta a favore del tycoon e parliamo del processo riguardante l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio del 2021, azzerato su richiesta del Procuratore speciale Jack Smith. Non era facile credere ad una pornostar magari in cerca di fama e denaro facile, ma era ancora più inverosimile pensare che Trump avesse eterodiretto l’uomo vestito da sciamano nell’irruzione presso il Congresso americano. Il presidente eletto degli Stati Uniti può avere molti difetti, ma non è di certo uno sprovveduto.