Il nuovo libro di Nicola Rao, direttore della comunicazione Rai, “Il tempo delle chiavi” (edito da PIEMME) è il viaggio in un tempo molto difficile, un tempo in cui le aggressioni politiche realizzate con la spranga erano appellate con un vezzeggiativo: i “cucchini”. Un tempo, quindi, in cui la violenza politica era all’ordine del giorno ed era considerata come uno strumento in più, fra i quali scegliere, per portare avanti le proprie idee e le proprie battaglie politiche. Un tempo in cui la vita dei ragazzi impegnati era davvero a rischio. Il direttore Rao racconta questo tempo con dei documenti e delle testimonianze inediti, realizzando una lettura che appare quasi una sceneggiatura tratta da un film. In una chiave innovativa e diversa, molto diversa rispetto da come siamo abituati, fa rivivere il ricordo dell’efferato delitto di Sergio Ramelli. La postfazione del libro è a firma di Guido Salvini, il magistrato che scoprì gli assassini di Ramelli.
A quasi cinquant’anni dall’accaduto, una nuova indagine. Perché?
Il motivo è proprio questo intanto: è una ricorrenza di tipo anagrafico, che è anche storica, perché fra qualche mese cadranno i cinquant’anni, prima dall’aggressione e, poi, dalla morte del povero Sergio Ramelli. Penso che mezzo secolo sia una distanza enorme rispetto ad un avvenimento, ma sia anche una distanza che può consentirci di raccontarlo a chi non lo conosceva e di ricordarlo a chi magari se ne è dimenticato. L’omicidio Ramelli rappresenta il punto più alto o più basso, dipende da dove lo si guardi, della degenerazione dell’impazzimento del fanatismo politico. L’idea che professava Ramelli, a mio avviso, è una sovrastruttura. Liberiamoci di questo. Poteva professare qualunque tipo di idea. La cosa davvero sconvolgente è che un ragazzo di 18 anni, uno studente in una delle più importanti città italiane ed europee, è stato perseguitato per mesi, a scuola, all’interno di un edificio scolastico, in orario di lezione, perseguitato sotto casa, nel bar che frequentava con gli amici e con il fratello, costretto a lasciare la scuola. Ma non è finita. Perché i suoi persecutori hanno insistito fino a quando l’hanno colpito, facendolo morire dopo 45 giorni di coma. Questa vicenda è il simbolo di quello che è successo per troppo tempo in questo paese e credo che sia uno degli episodi più gravi che sono successi in quegli anni.
E Sergio Ramelli, purtroppo, non fu la sola vittima…
Questo non è un libro soltanto sull’omicidio Ramelli, è un libro anche sull’omicidio Ramelli. Sergio fu il più sfortunato, ma tra il 1972 e il 1976 furono almeno 200 le persone colpite in testa dai cosiddetti “cucchini”, aggressione a colpi di chiave inglesi. E di queste persone molto sono rimaste mutilate, menomate, paralizzate. E’ solo un caso che sia rimasto ucciso solo un ragazzo, avrebbero potuto essere decine le vittime di questa vera e propria guerra di strada, una guerra dimenticata. In questo, giustamente, magistrati, storici e giornalisti hanno raccontato ed indagato fino in fondo le stragi, i grandi attentati, i grandi omicidi, come il caso Moro, ma quasi nessuno ha messo in evidenza una guerra strisciante che si è svolta soprattutto a Milano, in quell’arco di tempo, e che è stata combattuta dentro le scuole e dentro le università.
Questa è una storia che ha un prologo dentro l’università, si sviluppa all’interno di una scuola e, poi, ha un epilogo all’interno di un’altra scuola. Per fortuna un epilogo non cruento, perché erano passati quattro anni dall’omicidio Ramelli. In un altro 13 marzo, al liceo Parini, il liceo più prestigioso di Milano, un giovane di destra, Sergio Spagnolo, viene processato dai militanti di estrema sinistra in una auletta all’interno dell’istituto. Viene picchiato, gli viene intimato di andare via dalla scuola altrimenti farà la fine di Ramelli. Ma i tempi erano cambiati per fortuna.