Ora fate voi un passo indietro

Avevano trasformato il referendum in un voto contro il governo Meloni. Ma il popolo ha scelto di non farsi usare: ora tocca a loro farsi da parte.

Si erano spinti oltre: un referendum trasformato in trappola politica, in processo pubblico al Governo guidato da Giorgia Meloni.

E oggi che le urne si sono chiuse senza quorum, noi vogliamo semplicemente ricordare le loro parole. E chiedere loro di fare ciò che pretendevano da altri.

Per settimane ci hanno detto che questo voto non era solo un voto tecnico, ma morale, sociale, politico. Ci hanno spiegato che il referendum rappresentava “l’Italia vera”, “il riscatto dei lavoratori”, “l’occasione per dire basta a un governo ingiusto”. Hanno spinto la propaganda al massimo volume, hanno occupato i talk show, mobilitato sindacati, circoli, associazioni. Hanno parlato di “grande battaglia democratica”, ma il popolo ha scelto il silenzio.

Non perché disinteressato. Ma perché non ha creduto a chi invocava la partecipazione solo per tentare un colpo basso alla democrazia parlamentare. Volevano trasformare una consultazione in una sfiducia mascherata. E invece si sono sfiduciati da soli.

Le parole d’ordine – precarietà, diritti, sfruttamento – erano slogan stanchi, riciclati, distanti dalla realtà concreta di milioni di italiani. Pensavano che bastasse brandire il Jobs Act per tornare a infiammare le piazze. Hanno usato il nome “Meloni” come catalizzatore dell’odio, sperando che bastasse per scatenare un referendum contro il governo. Ma l’ossessione di pochi non muove le masse.

Gli italiani hanno scelto di non essere strumentalizzati. Hanno scelto di non lasciarsi usare per uno scopo che nulla aveva a che vedere con i cinque quesiti referendari. Nessuna delle proposte in campo migliorava davvero la vita concreta dei cittadini. Ma tutte, chiaramente, ambivano a colpire un governo legittimato dal voto popolare. Un governo che – piaccia o meno – è espressione di un mandato chiaro e forte.

Avevano evocato una “mobilitazione generale”. Hanno ottenuto un deserto elettorale. Il quorum, lo sapevano, era alto. Ma contavano di superarlo galvanizzando l’opinione pubblica con la solita retorica del “governo cattivo” e “popolo oppresso”. Non è andata così.

Perché il popolo non è oppresso, ma consapevole. Non è precario di democrazia, ma maturo nel giudizio. E oggi ha detto qualcosa di chiaro, pur rimanendo a casa:

“Non mi presto al vostro gioco.”

E allora? Se il referendum era un giudizio sul governo, e l’affluenza è stata l’indice di gradimento, dov’è oggi il coraggio di ammettere la sconfitta? Dov’è la dignità di trarne le conseguenze?

Hanno già cominciato a dire che è colpa dell’informazione, che è mancata la copertura mediatica, che Meloni ha “imbavagliato il dibattito”. Lo hanno già fatto in passato. Ma ogni volta che parlano di bavaglio, è perché nessuno li sta più ad ascoltare.

Non c’è censura nei numeri. E i numeri dicono che la vostra Italia non c’è. Che non siete riusciti a convincere, entusiasmare, motivare. E soprattutto che non potete pretendere di cambiare un governo dalla porta di servizio, quando la porta principale ve l’ha già chiusa in faccia il voto del 2022.

L’Italia ha parlato. Ora tocca a voi: cambiate aria, largo al nuovo

Non serve un nuovo comunicato. Non serve un’altra conferenza stampa. Serve un atto di responsabilità. Di coerenza. Avreste chiesto le dimissioni di chi avesse perso il referendum?
Allora fate voi un passo indietro.

Fate silenzio per un po’. Riorganizzatevi, se potete, fate i congressi. E, per una volta, rispettate davvero la volontà popolare. Perché stavolta gli italiani non si sono fidati. E hanno fatto bene.

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Ulderico de Laurentiis
Ulderico de Laurentiishttp://www.uldericodelaurentiis.it
Direttore Responsabile de "La Voce del Patriota".

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