C’è chi difende il lavoro a parole e chi con i fatti. Alla sinistra è rimasto solo il concertone del Primo Maggio e qualche storico slogan discendente dalle Internazionali. Per il resto, si può dire che la sinistra abbia da anni gravi difficoltà a difendere il lavoro e i lavoratori in generale e gli operai nel dettaglio. E non c’è da stupirsi se anche interi quartieri operai, i veri feudi ideologici del pensiero rosso, abbiano scelto di virare a destra, di credere alle promesse, poi mantenute, della destra piuttosto che affidarsi, seguendo una sorta di continuità storica, a chi aveva governato fin a quel momento. È caduto il voto “di diritto” alla sinistra in quanto tale, per via della bravura altrui o della sua incapacità di raccogliere le istanze di tutti i cittadini. C’è di fatto che ora di quella sinistra che nacque dal mondo operaio, oggi non ne è rimasta neppure l’ombra. Ai vari Togliatti, Berlinguer, Craxi, i compagni hanno dovuto preferire Elly Schlein, che chissà quante volte (poche sicuramente) è stata all’interno di un fabbrica. Lei e la sua armocromista. E dunque, sembra molto più facile e naturale credere, oggi più che nel 2022, in un governo che ha già ottenuto degli ottimi risultati in fatto di lavoro e di occupazione, piuttosto che affidarsi a chi continua, pur avendo dati contrari, a gridare alla precarietà e alla disoccupazione.
I numeri parlano chiaro
Partiamo dai numeri: in un anno, il Governo Meloni è riuscito a ribaltare una situazione non semplice in termini occupazionali, superando le 500mila nuove unità, quasi 25 milioni gli occupati. La disoccupazione scende, gli inattivi tornano a mobilitarsi. Anche le donne impiegate nel mondo del lavoro aumentano, superando la soglia dei 10 milioni. Numeri record, mai così alti dal 2008. Perché non c’è favore migliore per i lavoratori che quello di favorire l’occupazione con politiche espansive. Ma favorire i lavoratori, vuol dire anche prevedere la difesa e la crescita dei loro salari e del loro potere d’acquisto. In questo senso, si staglia la riforma dell’Irpef, pronta a essere riconfermata, se non ampliata, anche per il 2025, con il taglio del cuneo fiscale del 7% per i redditi fino a 25mila euro e del 6% per i redditi fino a 7%, o con l’accorpamento dei primi due scaglioni Irpef applicando l’aliquota della prima. Misure che hanno fruttato circa 100 euro in più al mese per ogni lavoratore dei ceti più bassi, con l’intento, adesso, di allargare le misure anche ai redditi più alti. In più, in favore dell’occupazione femminile, il Governo Meloni ha difeso il ruolo delle mamme lavoratrici, nell’ottica di non dover rendere obbligatoria la scelta tra lavoro e famiglia, un bivio che blocca spesso molte donne nella loro carriera professionale. Dunque, per le mamme con due e più figli è previsto un taglio del 100% dei contributi, che si traduce in circa 3000 euro in più all’anno. E ancora le misure per aiutare l’assunzione di categorie più fragili, come donne e giovani; l’ultimo decreto legge Coesione approvato ieri in Consiglio dei Ministri che prevede degli ulteriori bonus per gli imprenditori che assumono giovani al Sud e altre misure per aiutare il lavoro autonomo e le aziende in crisi. E in ultimo c’è da ricordare la precarietà, in calo da mesi come certificato dall’Inps, che tramite il suo Osservatorio ha fatto sapere che oltre la metà di quel mezzo milione di nuovi occupati, può adesso contare su contratti a tempo indeterminato.
Tutto merito del Governo Meloni
C’è ancora da lavorare? Certo, c’è sempre da lavorare e da migliorare. Ma c’è un motivo, chiaro, se l’Italia è riuscita e riesce tutt’ora a resistere a un periodo di stagnazione mondiale e se le classi per le quali la sinistra ha sempre lottato ora non si riconoscono più nel mondo rosso. Oggi, Primo Maggio, lì al Circo Massimo, ci sarà mezzo milione di persone in più a festeggiare. Tutto merito del Governo Meloni.