Salis ha paura della giustizia e invoca pietà

L’eurodeputata eletta con Alleanza Verdi-Sinistra rischia la revoca dell’immunità parlamentare. Ora scatta la richiesta di “solidarietà democratica” sui social: ma difendere Salis è davvero difendere la democrazia?

Ilaria Salis, eletta europarlamentare con Alleanza Verdi-Sinistra, ha “le ore contate”. Nei prossimi giorni a Bruxelles sarà decisa la revoca o meno della sua immunità parlamentare. Per scongiurare questa possibilità, Salis ha ben deciso di postare sui social un video dal tono drammatico, in cui – tra sguardi intensi e parole attentamente calibrate – invita i colleghi a non votare per la revoca. Ma il messaggio va oltre la sua vicenda personale: Salis, che da mesi denuncia l’Ungheria definendola un “regime autoritario”, sostiene che toglierle l’immunità significherebbe non solo colpirla direttamente, ma anche “tradire la democrazia europea”.

Parole gravi, che si rivolgono a un’intera istituzione comunitaria e che lasciano perplessi. Da quando in qua sottrarsi a un processo è diventato un simbolo di libertà? Siamo dinanzi a un ribaltamento della logica, dove chi dovrebbe affrontare la legge invoca immunità come fosse un diritto naturale, e non uno strumento eccezionale. E invece no: la legge è, o dovrebbe essere, uguale per tutti. Anche per Ilaria Salis.

L’impressione è che dietro questo teatrino si nasconda una strategia politica più che una vera denuncia contro gli abusi. L’Ungheria resta uno Stato membro dell’Unione Europea. Il processo a carico della Salis, se ci sarà, si svolgerà in un tribunale europeo, soggetto alle garanzie giuridiche che tutti gli altri Paesi riconoscono. Non parliamo di una giustizia da Terzo Mondo. E se Salis ritiene che i suoi diritti siano violati, ha a disposizione tutti gli strumenti – nazionali ed europei – per farli valere.

Ma ciò che più colpisce è il tono dell’appello: vittimistico, quasi ricattatorio. Chiama in causa l’intera Europa, come se la sua situazione fosse la chiave di volta della tenuta democratica del continente. In realtà, Salis è una persona che – secondo le accuse – avrebbe preso parte a disordini violenti, e che ora teme le conseguenze delle sue azioni. Il Parlamento europeo, però, non è un rifugio per chi cerca protezione dalle leggi di un altro Stato membro. Non è stato ideato per garantire impunità, ma per rappresentare i cittadini. E i cittadini, in genere, non possono nascondersi dietro una poltrona per evitare di essere giudicati.

La narrazione proposta da Salis – amplificata da chi la sostiene – è tutta concentrata sul trasformare la sua vicenda in un simbolo. E quella che oggi si proclama una battaglia per i diritti civili, ha tutti i tratti di una campagna ben orchestrata per ottenere consenso e visibilità. Perché diciamolo: la sinistra radicale ha bisogno di martiri e casi da prima pagina. Ottimo se in lotta contro “regimi” stranieri, ancora meglio se in contrasto con “l’Europa sbagliata”, quella che pretende il rispetto delle regole.

L’immunità non è un privilegio che ti segue come un’ombra. È una tutela concessa per evitare che un parlamentare venga perseguitato per le sue opinioni. Ma quando si tratta di fatti concreti, di accuse penali, l’immunità può e deve essere revocata. Farlo significa ristabilire un principio fondamentale: “la legge è uguale per tutti”, parlamentari compresi. Nessuno ha detto che Salis sarà condannata. Ma che venga giudicata come tutti gli altri cittadini: senza scudi speciali, senza video emozionali, senza lezioni morali.

Il suo appello, pur mascherato da una richiesta di giustizia, suona come un grido di paura. Una paura che non può giustificare il tentativo di gettare discredito su uno Stato membro per guadagnarsi un trattamento di favore. Il Parlamento europeo non può piegarsi alla logica della commozione e deve guardare ai fatti. Altrimenti, rischiamo di legittimare un precedente pericoloso: quello per cui chi ha una poltrona può sfuggire alla giustizia, mentre chi non ce l’ha, paga fino all’ultimo centesimo.

Salis non è la democrazia. È una cittadina europea, come tutti. E se davvero crede nei valori che tanto proclama, dovrebbe essere la prima a chiedere di essere giudicata. A viso aperto.

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Michele Intartaglia
Michele Intartaglia
Michele Intartaglia, classe 2004, originario di Procida. Studente di Scienze Politiche alla LUISS Guido Carli.

1 COMMENT

  1. Questa pluripregiudicata deve affrontare il suo destino, spero che le sia tolta l’immunità avuta grazie al “gatto e la volpe”, alias Fratoianni e Bonelli, così il processo potrà proseguire e la cara “compagna”, finalmente, sarà condannata.

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