Storie che terrorizzano la sinistra

Due giorni fa, tra le mura solenni del Vaticano, si è svolto un incontro che in una situazione normale avrebbe fatto il giro del mondo in prima pagina. Papa Leone XIV – primo pontefice nato negli Stati Uniti – ha accolto in udienza il vicepresidente americano JD Vance, la Second Lady Usha Vance, il Segretario di Stato Marco Rubio e sua moglie Jeanette. Un momento straordinario, tanto dal punto di vista simbolico quanto umano.

Perché questa immagine, in un solo scatto, riassume tutto ciò che l’America e l’Occidente hanno di più vero, forte e profondo. Storie di riscatto, di fede e di famiglia. Ma soprattutto, storie che non piacciono al sistema dominante, perché smontano pezzo per pezzo la narrazione tossica di globalisti e sinistra.

Cominciamo da JD Vance. La sua storia ha fatto il giro del mondo grazie al libro Hillbilly Elegy, che è molto più di un’autobiografia: è il ritratto sincero e brutale di quell’America profonda che le élite fingono di non vedere. Nato in una famiglia disfunzionale dell’Ohio, cresciuto senza un padre e con una madre tossicodipendente, JD ha conosciuto la violenza, la povertà e il senso di abbandono. Si arruola nei Marines, combatte in Iraq, e al suo ritorno sfrutta il G.I. Bill – la storica legge del 1944 che garantisce ai veterani accesso all’istruzione – per entrare e laurearsi alla Yale Law School, l’università delle élite. Ma invece di “convertirsi” alla cultura liberal, JD sceglie di battersi per quei valori che hanno salvato la sua vita: la famiglia, la fede, la disciplina, il senso del dovere. Oggi è vicepresidente degli Stati Uniti.

Al suo fianco, Usha Vance, avvocatessa brillante, anche lei laureata a Yale, figlia di immigrati indiani. Una donna colta, elegante, profondamente radicata nei valori della comunità. In una società ossessionata dalle etichette etniche, Usha è la dimostrazione vivente che non serve sbandierare la “diversità” se c’è sostanza, cultura e identità. Eppure, il sistema preferisce esaltare figure costruite a tavolino, come Kamala Harris, che si è perfino inventata – salvo poi essere smentita pubblicamente – un passato da lavoratrice da McDonald’s per accreditarsi come “ragazza del popolo”. Per JD e Usha nessuna mitizzazione forzata: la loro è una storia vera, e forse proprio per questo, scomoda.

Accanto a loro, Marco Rubio. Figlio di profughi cubani fuggiti dal regime comunista di Fidel Castro, Rubio è cresciuto a Miami in una famiglia umile: la madre faceva la cameriera, il padre il barista. Sa cosa significa vivere con l’ansia di perdere tutto, e ha costruito la sua carriera con le uniche armi che aveva: il merito, la determinazione, la fede. Eletto giovanissimo al Senato, Rubio è oggi Segretario di Stato e rappresenta con orgoglio un’altra idea di America: quella che non si vergogna delle proprie radici cristiane, che non si inchina all’ideologia woke, che non chiede il permesso per esistere.

Sua moglie, Jeanette Rubio, è figlia di immigrati colombiani, ex cheerleader dei Miami Dolphins e oggi madre di quattro figli, impegnata nel sociale. Anche lei, invisibile agli occhi dei media, perché non corrisponde al cliché della donna “emancipata” secondo la sinistra: quella che rinnega la famiglia, la maternità e i valori tradizionali in nome di un femminismo posticcio.

Infine, al centro della scena, Papa Leone XIV. Primo papa americano, profondamente legato alla dottrina cattolica, ma al tempo stesso uomo del popolo. Ha passato dieci anni in missione in Perù, vivendo tra i più poveri, dormendo sul pavimento e imparando lingua e cultura locali. Un pontificato che si annuncia come un ritorno alla Chiesa dei fondamentali: verità, carità, dottrina, coraggio. Non una Chiesa ideologizzata, ma viva, concreta, ancorata a Cristo.

Eppure, questa immagine – potente, luminosa, vera – non la troverete sulle homepage dei quotidiani progressisti. Nessun approfondimento televisivo, nessun editoriale commosso. Perché? Perché è una foto che smentisce plasticamente la narrazione costruita dal mainstream, quella secondo cui il bene sta sempre a sinistra, e chi non si conforma è automaticamente un pericolo. Queste persone – JD Vance, Marco Rubio, Usha, Jeanette, Leone XIV – hanno la colpa di rappresentare di valori come libertà, uguaglianza e meritocrazia che la sinistra ha rinnegato in nome della dittatura woke, sostituendoli con censura, diversità, e omologazione.

È lo stesso identico meccanismo che vediamo in Italia con Giorgia Meloni. Se fosse di sinistra, con la sua storia – origini umili, gavetta politica, fondazione di un partito e vittoria elettorale – ne avrebbero già fatto una serie su Netflix, uno spettacolo teatrale e una biografia celebrativa tradotta in dieci lingue. Giorgia, invece, è di destra. Ergo, quando va bene la ignorano, altrimenti la demonizzano.

La foto scattata in Vaticano è la prova che esiste ancora un Occidente che crede nella verità, nella libertà e nell’unicità dell’individuo al centro della società. Un Occidente che non si lamenta, ma costruisce; che non si scusa per ciò che è, ma lo rivendica con orgoglio e perciò rifiuta di omologarsi.

Il punto è tutto qui: basta osservare questa foto, quelle ingiallite di quando eravamo ragazzi e quelle in bianco e nero dei nostri genitori per rendersi conto che la famiglia sia la cellula fondante, la Patria – la Terra dei Padri – il grembo materno in cui essa cresce e che, infine, Dio e la millenaria cultura cristiana rappresentino l’anima che garantisce la continuità della nostra civiltà.

Ai “democratici” evidentemente dispiace che la realtà sia questa, a noi no.

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Alessandro Nardone
Alessandro Nardone
Consulente di marketing digitale, docente alla IATH Academy, è autore di 9 libri. È stato inviato di Vanity Fair alle elezioni USA dopo aver fatto il giro del mondo come Alex Anderson, il candidato fake alle presidenziali americane del 2016.

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