UE. M5S diventa stampella della Merkel e vota Von der Leyen

La nuova legislatura europea – lo abbiamo già raccontato su queste colonne – è partita decisamente col piede storto: spartizione delle nomine nel nome dell’asse franco-tedesco uscito dalla porta ma rientrato prontamente dalla finestra, riproposizione della Grosse Koalition (allargata all’inverosimile e ormai retta solo dalla preservazione dello status quo), “cordoni sanitari” contro i movimenti sovranisti (è accaduto con lo stop alla vicepresidenza dell’Europarlamento alla Lega e con la bocciatura della polacca Beata Szydlo come commissario all’Occupazione) e un presidente dell’Europarlamento – David Sassoli del Pd – che rappresenta uno schiaffo in faccia all’Italia dato che questa esprime un governo dal profilo (almeno lato Lega) euroscettico.

Forse è meglio dire “esprimeva”. Perché quello che è avvenuto ieri, con l’appoggio, la “stampella” decisiva del Movimento 5 Stelle per l’elezione di Ursula Von der Leyen alla presidenza della Commissione europea è destinato non solo ad incidere, in peggio, per le sorti del Vecchio continente ma a mutare irrimediabilmente il profilo (già di per sé ambiguo) del socio di maggioranza della compagine giallo-verde.

Un’indicazione, questa della merkeliana e rigorista appoggiata da Ppe, socialisti e liberali, impopolare persino nella sua stessa maggioranza (75 sono stati i franchi tiratori fra i partner ufficiali mentre Lega e FdI hanno votato contro) ma “salvata” proprio dai voti dei grillini che hanno rivendicato il sostegno nei suoi confronti parlando di comunanza «sui punti», ossia a quel salario minimo europeo che – se mai applicato – rappresenterà un volano ulteriore proprio per…l’economia tedesca.

Ma al di là dell’adesione a un programma di una rappresentante del popolarismo germanocentrico (il cui discorso è stato condito da un elenco di banalità à la page – dalla parità di genere nella scelta dei commissari, al contiente “climaticamente corretto” – con risposte evasive su immigrazione, rilancio del lavoro e tutela della radici storico-antropoligiche dell’Europa), si tratta di una scelta grave, questa di Di Maio & co, sotto ogni punto di vista.

Non solo perché i pentastellati hanno letteralmente “miracolato” una coalizione (e un asse franco-tedesco) che – come abbiamo spiegato più volte dopo il voto del 26 maggio – è in piena crisi di legittimazione e poteva subire il colpo di grazia proprio con un’implosione-shock della sua candidata. Non solo perché i 5 Stelle hanno permesso di eleggere al vertice dell’esecutivo un’esponente che, ai tempi ministro del Lavoro dell’esecutivo Merkel, sosteneva, partendo dalla Grecia, che i salvataggi della zona euro avrebbero dovuto essere garantiti con le riserve auree. Non solo perché – una volta per tutte – gli “incendiari” a 5 Stelle nel momento delle scelte cruciali si sono rivelati, per dirla con Rino Gaetano, i “pompieri” di turno: pronti ad addomesticarsi ai paletti di Sergio Mattarella nel marzo 2018 – i due “cani da guardia”, Tria e Moavero, nei ministeri che contano – come all’asse Ppe-Pse-Macron adesso.

Oltre a tutto questo c’è un elemento ulteriore e ulteriormente pericoloso in ciò che sta avvenendo oltreconfine per precisa volontà politica. Lo ha denunciato ieri Giorgia Meloni, commentando l’annuncio dei 5 Stelle: «Quello che più salta agli occhi è lo scambio di “amorosi sensi” tra il Pd e il M5S che, dopo l’elezione di Sassoli e del vicepresidente grillino Castaldo, voteranno insieme con entusiasmo la Von der Leyen. Che sia solo l’antipasto, in salsa europea, di futuri scenari di governo nazionali?».

Già, con l’elezione del successore di Juncker – in continuità con Juncker – al “patto del Nazareno europeo” si unisce ufficialmente pure il MoVimento che davanti alla batosta elettorale subita dai popolari e dei socialisti europei ha scelto di non interpretare il messaggio giunto dalle urne e di avallare – goffamente – le consuetudini e gli equilibri che sono stati bocciati dagli europei nelle urne. Uno schema, questo, che c’è chi vorrebbe esportare in Italia, magari sfruttando il caso Russiagate e l’improvviso fianco scoperto lasciato da Matteo Salvini. Una tentazione anti-italiana che ha iniziato a recitare la sua prova generale, nome in codice “ammucchiata”, proprio ieri a Bruxelles.

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