Sergio Ramelli è un martire della libertà: della libertà di pensare, di esprimere la propria fede politica, di credere nella propria Nazione. Sergio è e resterà sempre nei nostri cuori come esempio di estremo coraggio e di grande amore per l’Italia.
Non riuscirò ad essere presente alla cerimonia a Milano per il cinquantesimo anniversario della sua devastante scomparsa. Ma vorrei testimoniare, ricordando Sergio con profonda emozione, circa i fatti e il clima di inaccettabile e assurda violenza che i giovani e tutto il popolo della Destra subivano in quegli anni a Milano.
Ero alla facoltà di giurisprudenza alla Statale di Milano dal ’66 al ’70 e ho vissuto quelle atroci stagioni di violenza. Si percepiva perfettamente che i movimenti estremisti stavano diventando terrorismo brigatista e che la loro sete di scontri brutali era troppo spesso sottovalutata, anche volutamente, da chi avrebbe dovuto far rispettare la legge, senza sconti o preferenze di parte. Una aggressività che troppe volte è stata incoraggiata dall’accondiscendenza di una certa stampa, così come da magistrati e politici.
Certo, erano anni bui, e tutte le fazioni politiche hanno – nessuna esclusa – pagato un prezzo di violenza, e a volte di sangue e nei casi più tragici di morte. Tuttavia, è obiettivo riconoscere che ci sono delle storie particolarmente degne di essere sempre ricordate e onorate da tutti con infinito rispetto, rimpianto e ammirazione. Questo è proprio il caso di Ramelli.
Occorre ripercorrere quel tragico fatto, quella quarantina di giorni di agonia, quella morte così violenta che Sergio incontrò il 29 aprile 1975 a soli 19 anni.
Tifoso dell’Inter, giocava a calcio all’oratorio e aveva la sola “colpa” per qualcuno di simpatizzare a destra, a differenza dei suoi coetanei dell’epoca. A scuola, giovani di “Avanguardia Operaia” minacciano Sergio, lo aggrediscono più volte e prendono persino di mira quegli insegnanti che avevano “osato” difenderlo. Ormai bollato come fascista è perseguitato e il padre decide che il figlio non può più stare al Molinari.
Sergio cambia istituto – in un clima di omertà generale e di assoluta inerzia – ma, purtroppo, non trova tranquillità altrove. È ormai un bersaglio per i militanti comunisti, e mesi dopo viene colpito barbaramente sotto casa mentre parcheggia il suo Ciao. Al volto, al cranio, ovunque. I suoi aguzzini – vigliacchi – scappano. Lui morirà dopo un mese di agonia. Straziante è il racconto della mamma Anita che fino all’ultima sera in ospedale, accanto al figlio dal respiro flebile e dalla febbre alta costante, sperava e pregava di poterlo portare a casa.
Voglio anche ricordare come l’allora giovane avvocato Ignazio La Russa, che fu poi difensore della Famiglia Ramelli, definì il delitto “infame”: un delitto commesso contro un ragazzo al quale veniva sottratta un’intera vita. Anche Pierpaolo Pasolini, sul caso Ramelli e sulla violenza politica di sinistra di quegli anni, spese parole franche, “nulla di peggio del fascismo degli antifascisti”.
Un odio politico – quello dell’estrema sinistra (ma anche di tutta quella sinistra che in fondo proteggeva tali crimini e sosteneva fossero “compagni che sbagliano”) – che, con l’etichetta “fascista”, inglobava la destra senza nemmeno tentare di comprendere cosa fosse nella realtà.
Oggi si percepisce un clima teso, si vedono cortei di giovani che intonano indistintamente, che sia una manifestazione femminista o un evento Pro-Pal, slogan violenti. L’aggressività degli ultimi tempi – peraltro – è ancor più evidente perché accompagnata da un’ondata di antisemitismo diffusa. Odio unito ad altro odio.
Fermare questi movimenti estremi è un dovere della politica: il dialogo e il rispetto del pensiero altrui sono due principi alla base della coesione sociale e, in generale, della nostra democrazia. Se vengono a mancare, se qualcuno tenta di polarizzare il dibattito e di imporre la propria idea sulle altre, il processo democratico è in pericolo. Oggi fortunatamente – rispetto agli anni in cui efferati omicidi come quello di Ramelli furono compiuti – c’è una maggiore unità politica nella tutela del cittadino, delle sue libertà, e una particolare attenzione nell’analisi di episodi di odio, qualsiasi sia la sua forma. Penso allo straordinario lavoro di confronto e audizioni della Commissione parlamentare straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza.
Ricordare oggi una figura come quella di Sergio Ramelli è fondamentale. È un esempio che ci invita a continuare a batterci affinché la sua storia drammatica faccia germogliare il fiore della pacificazione. Perché la libertà di pensiero deve vincere sempre sull’oscurantismo ideologico.