Un cittadino segnala su Facebook alcune piastrelle rotte a Largo Montenero. Un normale post di denuncia civica, tra i tanti. Ma il commento che segue è tutto fuorché normale: un account anonimo – “Membro 582” – lo insulta, lo deride, lo accusa di “vomitare opinioni personali” e di “cercare senso nella polemica”. Fin qui, il classico leone da tastiera. Solo che stavolta il leone ha la delega all’Evoluzione digitale, alla Famiglia, ai Giovani e alla Comunicazione. Ovvero: è un assessore della giunta di centrosinistra del sindaco Mauro Gattinoni.
Avete capito bene: a Lecco l’amministrazione progressista che organizza convegni sul cyberbullismo ha scoperto che il cyberbullo… stava in giunta. E non uno qualunque: Alessandra Durante, volto istituzionale dei patti educativi digitali contro l’odio online, protagonista di progetti scolastici sull’uso corretto dei social, speaker pubblica su come “limitare i comportamenti tossici nella rete”. Tutto bello, fino a che non si scopre che nel tempo libero insultava i cittadini nascosta dietro un nickname.
Smascherata in poche ore dagli amministratori del gruppo social, l’assessore ha fatto il classico passo indietro. Prima le scuse su Instagram: “Sono caduta esattamente in quei comportamenti che da tempo analizziamo come da evitare”. Poi le dimissioni, presentate al sindaco Gattinoni. Il quale, invece di accettarle subito, ha preferito prendersi “qualche giorno di riflessione”. Che sarà mai: qualche insulto online, in fondo, lo abbiamo fatto tutti, no?
A difenderla ci ha pensato anche il gruppo “Fattore Lecco”, forza civica alleata del centrosinistra: “È umana, imperfetta, generosa. Ce la teniamo stretta”. Sì, magari la tengono anche offline però, per sicurezza.
Intanto l’opposizione – Fratelli d’Italia in testa – è insorta: “Ha predicato educazione online per poi praticare il cyberbullismo e la diffusione di fake news”. E difficilmente si può dar loro torto: qui non siamo davanti a un errore privato, ma a un clamoroso caso di doppia morale politica. Come se l’assessore alla legalità venisse colto in flagranza a scassinare una serratura.
E dire che la Durante non era nuova alla narrazione virtuosa: pochi giorni prima era sul palco accanto al pedagogista Alberto Pellai per presentare il “patto educativo digitale” contro i linguaggi tossici. Un patto firmato con l’altra mano, evidentemente, mentre con quella libera digitava “sei uno sfogo umano da vomito” su Facebook.
C’è poco da ridere, se non amaramente. Perché la vicenda di Lecco è un perfetto cortocircuito tra propaganda progressista e realtà. Tra chi predica la “cura delle parole” e poi, appena riceve una critica civile, sfoga frustrazione personale con profilo fake. E non da cittadino qualunque, ma da membro di una giunta che rivendica valori e progetti pubblici sul digitale.
Il punto non è moralistico, ma politico: può un’amministrazione che promuove campagne contro l’odio online permettersi di coprire (o perdonare) un suo rappresentante che dell’odio si è reso protagonista? Può un sindaco impiegare giorni per “riflettere” su un caso che andava risolto in minuti?
Se non altro, la sinistra di Lecco ci ha insegnato una nuova declinazione del concetto di “coerenza civica”: quella in cui l’educazione digitale è un dovere… per gli altri.