Se n’è andato oggi, in silenzio e lontano dai riflettori, Nino Benvenuti. Un uomo che, sul ring, ha preso a pugni gli avversari che hanno incrociato con lui i guantoni. E fuori dal ring ha metaforicamente preso a pugni la vita, che lo ha messo di fronte a varie difficoltà, prima fra tutte quella di dover abbandonare la terra in cui era nato, l’Istria, per sfuggire alle persecuzioni anti-italiane del regime titino: la sua famiglia fu costretta all’esodo nel 1954, dopo che il fratello Eliano, per il solo fatto di essere italiano, fu arrestato e tenuto in prigione per mesi. La mamma, appena quarantaseienne, morì pochi anni dopo di crepacuore.
Quel dramma lo ha raccontato lui stesso in un libro biografico scritto nel 2013 con Mauro Grimaldi (L’isola cne non c’è, Eraclea) e, anni dopo, in una graphic novel, Nino Benvenuti. Il mio esodo dall’Istria, scritta sempre con Grimaldi ed illustrata da Giuseppe Botte (Ferrogallico, 2020). “In Istria, la mia terra, ancora oggi mi sento un esule. Ci ho lasciato il mio cuore e la mia rabbia per essere stato derubato della mia identità” diceva Benvenuti. Una rabbia che, forse anche grazie alla boxe, non è divenuta odio ma voglia di riscatto. Per sé e per la sua gente.
Nato nel 1938 ad Isola d’Istria, Giovanni Benvenuti (detto Nino), comincia a salire sul ring in giovane età con non pochi sacrifici: la palestra in cui si allenava, infatti, era a Trieste, fatto che lo costringeva a fare decine di chilometri in bicicletta (60, tra andata e ritorno). Tanta fatica diede però i suoi frutti, perché la sua carriera sportiva decollò fino a farlo diventare uno dei pugili più noti e vincenti della storia d’Italia e non solo. Tra dilettanti e professionisti ha disputato in carriera oltre 200 incontri, alcuni dei quali gli sono valsi la conquista di titoli particolarmente prestigiosi. Come, tra tanti, l’oro olimpico nel 1960 e il titolo di Campione del mondo superwelter nel 1965 e 1966 e dei pesi medi dal 1967 al 1970 (unico italiano ad aver ottenuto tale risultato in due categorie di peso).
Della sua vita da atleta si potrebbe dire molto altro. Ma tralasciando dati e riferimenti a match storici, vale la pena ricordare, per raccontare l’uomo oltre che il pugile, due fatti: il primo riguarda la citata conquista della medaglia d’oro alle Olimpiadi di Roma nel 1960, che è stata un’incredibile ed indimenticabile simbolo di redenzione per tutti gli istriani. Il secondo è il rapporto con uno dei suoi avversari storici divenuto poi suo grande amico, l’americano Emile Griffith (tra i due ci furono tre combattimenti, due vinti dall’italiano e uno dallo statunitense). Avendo saputo dei suoi gravi problemi di salute e che viveva in povertà, gli rimase vicino e fece di tutto per dargli una mano, anche economicamente. “Ho fatto quello che ho potuto. L’ho portato in Italia per farlo visitare. Ho organizzato una raccolta fondi per aiutarlo, fino al giorno della sua morte, nel 2013, in una casa di riposo a Long Island” raccontò Benvenuti in un’intervista.
Tanti, in queste ore, i messaggi di cordoglio per la morte del campione istriano. Tra essi quelli delle associazioni impegnate sul fronte della memoria di quanto avvenne in Istria, Fiume e Dalmazia: “E’ stato una leggenda dello sport italiano, ma noi vogliamo ricordarlo anche per il grande esempio di italianità” dichiara il Presidente Nazionale del Comitato 10 febbraio, Silvano Olmi. Alle sue parole fanno eco quelle di Marino Micich, direttore del Museo storico di Fiume: “la scomparsa di Nino Benvenuti rappresenta un grave lutto per la comunità esule istriana come per tutta l’Italia. Oltre a mietere successi sportivi a livello internazionale, ha sempre portato avanti con dignità e fermezza il ricordo delle ingiustizie subite e ha contribuito con le sue testimonianze ad abbattere il muro del silenzio sulle vittime delle foibe. Un grande uomo, un grande italiano”.
Non sono mancate, infine, parole di cordoglio da parte di rappresentanti delle istituzioni, in primis dal presidente del Consiglio, che sui social scrive: “Addio ad un campione straordinario e simbolo di un’Italia fiera, coraggiosa, capace di rialzarsi”. Un campione che “è stato uno dei più grandi pugili della nostra storia, ma anche molto di più: profondamente legato alle sue radici istriane, è stato un testimone instancabile della tragedia delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata, contribuendo a scrivere una storia che non era stata raccontata. Alla sua famiglia e a tutti coloro che gli hanno voluto bene va il mio pensiero commosso” aggiunge Giorgia Meloni. Che conclude: “Grazie, Nino, per i tuoi combattimenti sul ring e per quelli in difesa della verità. L’Italia non ti dimenticherà”.