C’è qualcosa di tragicamente simbolico nella sentenza con cui il tribunale civile di Roma ha stabilito l’“affido condiviso” di quattro orologi Rolex tra Francesco Totti e Ilary Blasi. Non si parla di figli, di patrimoni immobiliari, di responsabilità genitoriali. Si parla di oggetti di lusso. Di tempo, potremmo dire. Ma non nel senso alto, umano, spirituale. Si parla del tempo incatenato a un polso, marchiato da una griffe, custodito in una cassetta di sicurezza come se potesse essere davvero posseduto.
In questo episodio da commedia grottesca si concentra tutta la crisi dell’Occidente post-identitario: la cultura dell’avere ha divorato quella dell’essere, e i sentimenti vengono messi all’asta insieme ai ricordi. Si litiga per chi debba indossare un Rolex, non per chi debba portare nel cuore il senso della famiglia, della responsabilità, della fedeltà a una storia comune.
Per anni i due protagonisti hanno incarnato una certa idea di coppia italiana di successo: popolare, bella, apparentemente solida. Ma ciò che resta ora è l’apparenza che sopravvive all’essenza. E lo specchio impietoso è il tribunale, che invece di giudicare le responsabilità morali si trova a dover regolare il calendario di utilizzo di un accessorio da centinaia di migliaia di euro.
Non si tratta di moralismo, né di nostalgia per un passato ideale. Si tratta di ritrovare il valore dell’essere nella dimensione pubblica e privata della nostra civiltà. Un conservatore autentico non misura il benessere col numero di oggetti posseduti, ma con il patrimonio spirituale, familiare e comunitario che sa custodire e trasmettere. E in questo patrimonio non ci sono Rolex, ma ci sono i nonni, le radici, la fatica, la lealtà, i figli.
Il vero scandalo non è che un giudice decida la sorte di un orologio, ma che questa sorte diventi notizia, spettacolo, modello sociale. La vera povertà non è materiale, ma simbolica: è la miseria di chi non ha più niente da offrire se non ciò che può esibire.
Ilary e Francesco, un tempo coppia “reale” del mondo dello sport e dello spettacolo, oggi rappresentano un Paese che non sa più distinguere il valore dall’apparenza, l’amore dal possesso, il tempo vissuto da quello cronometrato. E se perfino i Rolex finiscono in affido condiviso, viene da chiedersi: ma chi affida più, oggi, la propria anima a qualcosa di più alto dell’io?
È tempo di tornare a parlare di fedeltà, sobrietà, coerenza, responsabilità. E forse anche di silenzio. Perché le cose che contano non fanno rumore, e non si indossano, si tramandano.