Donald Trump, il pacificatore
Tutto possiamo dire di Donald Trump, ma non che non si stia impegnando, a modo suo, nel tentativo di risolvere i vari conflitti che ancora insanguinano il mondo.
D’altronde debbono essere messi al suo attivo, con interventi diretti o attraverso una efficace moral suasion, i seguenti accordi di pace raggiunti nei solo primi otto mesi del suo secondo mandato presidenziale:
– accordo di pace raggiunto tra Repubblica Democratica del Congo e Rwanda;
– accordo di pace tra Azerbaijan e Armenia;
– cessate il fuoco immediato tra India e Pakistan.
Un altro punto a favore di The Donald è stato poi quello di uscire dalle secche in cui l’amministrazione Biden aveva posto gli Stati Uniti nel conflitto russo-ucraino. Si è passati cioè da una vera e propria impossibilità americana (che l’Europa sconta ancora oggi), a poter imbastire una qualsiasi parvenza di percorso di pace dopo gli insulti al vetriolo (“pazzo figlio di p…, macellaio, assassino, ecc. ecc.) che il predecessore dell’attuale Presidente aveva rivolto pubblicamente all’indirizzo dell’uomo forte del Cremlino, lasciando di fatto l’attivismo diplomatico nelle mani della Turchia di Erdogan, a una nuova fase in cui, superata l’impasse causata dal predecessore, Trump ha rimesso gli Stati Uniti al centro della diplomazia internazionale nel tentativo, non certo facile, di arrivare ad un cessate il fuoco prima, e a una pace duratura poi.
15 agosto 2025, Alaska
In quella data si incontreranno, ad Anchorage, per la settima volta, i due Presidenti americano e russo, per un vertice che non dovrebbe prevedere al momento la presenza del leader ucraino Zelensky, e che non potrà essere comunque definitivo.
Quali scenari quindi potranno venire fuori dal vertice?
La diplomazia internazionale prevede in generale diverse soluzioni che vanno dal vincere tutti, al vincere uno e perdere l’altro, al perdere tutti.
La prima soluzione, quella sperata e che viene definita win win, in realtà avrebbe molto il sapore di una quasi vittoria russa, che però ha dalla sua parte l’incontrovertibile fatto di aver conquistato diverse province ucraine e quindi di essere militarmente in vantaggio.
Si potrebbe quindi ipotizzare che la Russia, forte delle sue vittorie al fronte, per quanto dispendiose in termini di soldati morti in battaglia, possa ottenere quanto chiesto fin dall’inizio del conflitto, e cioè il riconoscimento internazionale della Crimea quale territorio russo e non più come territorio ucraino temporaneamente occupato, l’annessione limitata al solo Donbass con le provincie di Donetsk e di Luhansk, l’impegno che l’Ucraina non entri nella NATO, la fine delle sanzioni economiche e il tornare a pieno titolo nel novero delle nazioni civili, facendo cadere le accuse di crimini di guerra e crimini di aggressione poste a carico di Putin. L’Ucraina dal canto suo dovrebbe accettare l’idea della perdita di territori, al momento rigettata senza riserve, conservando però una parte di quelli attualmente sotto controllo russo, compresa la più grande centrale nucleare d’Europa e tra le più produttive del mondo di Zaporozhzhia; riceverebbe un fiume di denaro per la ricostruzione e, soprattutto, potrebbe essere ammessa a far parte dell’ Unione Europea, quindi addivenendo a una soluzione strategicamente meno “minacciosa” se vista dal versante russo rispetto ad un allargamento della NATO.
Infine, ne uscirebbe vincente ancora una volta il Presidente Trump, sempre più intenzionato a rincorrere l’ambito Premio Nobel della Pace.
La seconda e la terza soluzione diplomatica, cioè in caso di win lose o lose lose, quindi la non accettazione per le parti in causa di rinunciare a qualcosa (la Russia i territori conquistati con le armi e centinaia di migliaia di morti, l’Ucraina la perdita di parte del proprio territorio nazionale) potrebbe vedere un vincente e un perdente, ma più probabilmente vedremmo solo perdenti, perché significherebbe la continuazione della guerra senza soluzione di continuità, fin quando qualcuno non cadrebbe al tappeto definitivamente, per via di una vittoria militare l’una, o per colpa delle sanzioni economiche l’altra, che prima o poi sveleranno i loro effetti nefasti sulla economia di guerra russa.
Considerazioni finali
La prima considerazione è che tutti sperano che l’incontro del 15 agosto da bilaterale possa trasformarsi al più presto in trilaterale, con l’aggiunta, perché no, dell’Europa.
Ma soprattutto vengono analizzate in queste ore le affermazioni del Vicepresidente del Stati Uniti J.D. Vance, che a prima vista possono sembrare molto negative, ma che a mio avviso vanno proprio nella direzione sperata. Quando infatti questi annuncia che un eventuale accordo in Alaska: “non renderà felici né Mosca né Kiev”, in realtà sta proprio dicendo che soltanto facendo reciproche, dolorose ma a questo punto necessarie concessioni, si potrà arrivare finalmente alla fine del conflitto e al ritorno della pace in Europa. Caso contrario, la parola resterà alle armi con conseguenze devastanti per tutti.