«Abbiamo voluto una vita scomoda». Così Fausto Biloslavo riassume lo spirito che ha unito lui, Almerigo Grilz e gli altri pionieri dell’Albatross Press Agency, nel cuore di un’epoca tanto violenta quanto feconda di ideali e passione. Lo fa con la voce rotta dall’emozione mentre rivede sullo schermo le immagini tratte da Albatross, il film di Giulio Base che oggi restituisce dignità a una figura troppo a lungo rimossa: quella del primo giornalista italiano caduto su un campo di battaglia nel dopoguerra.
Nato da una giovinezza militante nei difficili anni Settanta, il sogno di Almerigo – testimoniato da immagini, reportage e filmati senza veli – ha preso forma attraverso la multimedialità, ben prima che diventasse la norma. «Aveva in sé la vocazione del testimone – racconta Biloslavo – raccontava tutto, senza filtri, e lo faceva con un coraggio visionario». Una passione, quella per il racconto diretto della guerra, che portò lui e i suoi compagni in zone dimenticate dal mondo: Angola, Mozambico, Afghanistan. Dove non arrivavano le agenzie, c’era l’obiettivo di Almerigo.
L’intervista ripercorre anche l’emarginazione che la figura di Grilz ha subito dopo la sua morte, il 19 maggio 1987, colpito alla nuca mentre filmava un attacco dell’Arenamo in Mozambico. «Per 21 anni è stato un inviato ignoto – spiega Biloslavo – discriminato ideologicamente solo per la sua militanza giovanile. Una dannatio memoria che il film contribuisce a spezzare». Non mancavano infatti, nei palazzi del giornalismo ufficiale, atteggiamenti ostili, rifiuti e un silenzio pesante. «Nell’albo dei caduti dell’Ordine dei Giornalisti, il suo nome fu messo solo all’interno, non sulla facciata insieme ai “morti di serie A”».
Ma Albatross non è un’opera di rivalsa, tiene a precisare Biloslavo: «Non deve essere usato come clava contro la sinistra. È un film che parla ai giovani, che dice: se hai un sogno, se ci metti passione e innovazione, puoi farcela. È anche un invito a voltare pagina, come ci hanno insegnato i mozambicani che hanno vissuto quella guerra spaventosa. Tutte le guerre finiscono. Anche la nostra guerra civile strisciante degli anni Settanta dovrebbe finire una volta per tutte».
La narrazione si fa ancora più toccante quando Biloslavo ricorda il documentario Almerigo, girato in Mozambico, in cui un ufficiale dell’Arenamo racconta di essere stato al fianco di Grilz al momento della sua morte. Oggi quell’uomo è capogruppo in Parlamento a Maputo, segno che sì, si può superare tutto, anche una guerra civile, se si ha la volontà.
Biloslavo chiude con un appello chiaro: «Andate al cinema a vedere Albatross. Fatelo pensando al brindisi con i guerriglieri mozambicani, al brindisi “alla vita scomoda”, quella che Almerigo ha scelto e vissuto fino in fondo».