La storia di Willy Duarte è la storia di grandi e terribili vuoti, su tutti giganteggia il vuoto che lascia, ma sullo sfondo si vedono nitidi i contorni dei vuoti che se lo sono portato via.
Quello che ha inghiottito questo piccolo grande eroe è un vuoto riempito di immagini di opulenza ostentata, di sbruffoneria tatuata, di violenza adorna di ori e patacche, occhiali da sole che coprono occhi piccoli e maligni, abiti griffati, costumi da mare sapientemente arrotolati per mostrare quadricipiti di marmo, camice sbottonate a svelare petti senza peli e senza cuore e automobili che costano quanto un appartamento di periferia.
Risultano nullatenenti i fratelli Bianchi, ma i redditi dichiarati da loro e dalla famiglia sono assolutamente disallineati rispetto al tenore di vita mantenuto. Uno dei due fratelli aveva rilevato da poco una frutteria, nella quale però non pare essere praticamente mai passato. L’altro neanche quella facciata si era voluto assicurare. Palestra, viaggi di lusso, vizi e ozi, ma chi pagava tutto questo? Chi garantiva questa vita da nababbi? Chi aveva messo tra le grinfie dei fratelli picchiatori il famigerato suv che in questi giorni è stato al centro della narrazione di questo brutale omicidio?
Queste domande oggi se le sta ponendo anche la guardia di finanza e si apprende che il papà dei due energumeni percepisce il reddito di cittadinanza, che la famiglia vive in una villa intestata ad un parente ristretto ai domiciliari per traffico di stupefacenti e che l’unico ad avere una attività è uno dei fratelli Bianchi, che ha un Bistrot ad Artena.
E questo dà un sapore alla vicenda ancora più amaro, perché aggiunge un altro vuoto, il vuoto di una famiglia che probabilmente non c’è mai stata ed ha insegnato che c’è sempre una strada più facile: quella in cui non si fatica per conquistare il pane. Il reddito di cittadinanza del padre dei Bianchi con il suv parcheggiato nel cortile della villa è il paradigma del parassitismo, l’inno di un nutrito sottobosco di nullafacenza in cui non esiste condivisione, empatia, fratellanza e consapevolezza. Gli italiani che vivono, soffrono, pagano le tasse e rinunciano a tutto pur di dar da mangiare ai propri figli hanno probabilmente contribuito a pagare quel suv, il carburante per le scorribande, il bollo e l’assicurazione.
Perché quel reddito di cittadinanza si è sicuramente sommato ai proventi di una vita di prepotenze e sfregi.
E dunque facciamocene una triste ragione, si aggiunge l’ultimo vuoto: quello dello Stato e delle istituzioni, della politica assistenzialista che preferisce automi asserviti e ammansiti col cestino del pranzo, poco importa se ne godono anche i furbi ed i prevaricatori, i ladri e i malfattori di ogni specie.
L’importante è avere una massa informe da controllare a piacimento e là dove ci sono afflati di pensiero non conforme e genuine capacità di dare e produrre, si abbatta la scure della persecuzione … ché il suv alla malavita tocca pagarlo col reddito di cittadinanza.
Che siano Sinti è possibile? Sembra quasi nessuno abbia messo sul tavolo tale possibilità, ossia che siano zingari o come il politicamente corretto vuole, una famiglia rom.