Un professore di scuola superiore, Stefano Addeo, ha pubblicato sui social un commento inaccettabile, accostando il nome della piccola figlia di Giorgia Meloni alla tragica vicenda di Martina Carbonaro, la giovane vittima di femminicidio ad Afragola. Parole che vanno ben oltre l’opinione, la satira o la critica politica. Parole che, in un Paese civile e democratico, dovrebbero costituire una soglia invalicabile!
Augurare, anche solo alludere, alla morte di una bambina – di una figlia – è profondamente disumano ancor prima che diseducativo.
Secondo quanto riportato da Rainews, Addeo ha poi chiesto scusa: “Sono stato superficiale e ho chiesto supporto perfino all’intelligenza artificiale per comporre quel post. Un grave errore aver detto cose simili nei riguardi di una bambina.”
E ancora, all’ANSA: “In classe non ho mai fatto politica. È stato un errore.”
Errore?! No, questa non è una “svista” o una “leggerezza”. Non si tratta di un’esternazione da bar, non stiamo parlando di un’opinione espressa male o di un lapsus, ma di un post pensato, scritto e pubblicato su un social network, accessibile a tutti, che coinvolge una ragazzina, con allusioni che nessun genitore dovrebbe mai, e poi mai, leggere e neppure immaginare.
A rendere ancora più inquietante la vicenda, è il riferimento da parte dello stesso docente all’uso dell’intelligenza artificiale. Utilizzando ormai quotidianamente questi strumenti, possiamo dirlo fermamente: nessun sistema di AI, degno di questo nome, consente, legittima o genera contenuti così violenti o minatori, tantomeno se rivolti a minori.
Sostenendo il contrario, il docente mente o cerca un comodo capro espiatorio. Non ha inteso però che, così facendo, non fa altro che peggiorare la sua posizione, perché si appella ad uno strumento. Non è la macchina o l’algoritmo a parlare. E’ la coscienza – o la sua assenza – dell’uomo che scrive.
Il punto però è un altro: una persona che si esprime in questi termini può educare? Può rappresentare un punto di riferimento per le nuove generazioni? Può guidare i ragazzi nello studio, nella crescita e nel rispetto dell’altro?
Essere insegnanti non è solo trasmettere competenze. È avere una responsabilità educativa, umana e culturale verso chi, crescendo, li osserva come esempio.
Chi confonde il proprio odio politico con la libertà d’espressione, arrivando ad alludere alla morte di una bambina, non solo è spregevole: è oggettivamente inadatto a ricoprire quel ruolo.
Perché l’aula scolastica non è un palcoscenico per sfogare le proprie frustrazioni ideologiche. È uno spazio sacro, dove il rispetto per la vita e per i principi fondamentali della civiltà deve venire prima della grammatica o della matematica.
Nessuno nega la possibilità del perdono. Ma questo non basta. Chi scrive certe cose non ha semplicemente sbagliato tono: ha dimostrato di non saper distinguere ciò che è umano da ciò che è barbaro.
Per questo, oggi non basta una scusa. Serve una vera assunzione di colpa e responsabilità. E’ necessario che il Ministero dell’Istruzione e l’Ufficio Scolastico Regionale valutino, seriamente e con urgenza, se Stefano Addeo possa continuare a insegnare.
Nel frattempo, lo stesso Addeo – in un’intervista pubblicata integralmente dal Roma online – ha riferito di aver ricevuto minacce di morte, insulti ecc. Ha dichiarato di aver sporto denuncia alla polizia postale e di aver cancellato il post “non per paura, ma perché si è reso conto da solo che era sbagliato”. Fin qui nulla da eccepire. Ma ciò che lascia davvero impietriti è una sua ulteriore affermazione: “Non accetto che un insegnante debba condividere pedissequamente le idee del governo per essere ritenuto degno del suo ruolo”
“Non accetto”? Ma di cosa stiamo parlando? Qui non si discute della libertà di espressione o del pluralismo. Nessuno pretende omologazione o silenzio nei confronti del governo.
La questione non è politica, è umana.
Se oggi accettiamo che un professore possa evocare la morte di una bambina in un post pubblico, senza gravi conseguenze, domani sarà l’istituto della scuola a perdere di significato, di valore.
Non possiamo fingere che si tratti di normalità. Non possiamo sminuire l’attacco come uno sciocco “errore comunicativo”.
Perché l’odio non potrà mai essere una cattedra, un insegnamento, una scelta. E una scuola degna di questo nome deve educare alla alla vita, non evocare la morte.