Aumentare le spese militari non è più rimandabile

Si apre all’Aja, in Olanda, uno dei più complessi e allo stesso tempo importanti vertici della Nato. Il Patto Atlantico fu firmato a Washington il 4 aprile 1949 ed entrò in vigore il 24 agosto dello stesso anno. Si tratta di un sistema di sicurezza collettivo, nato subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale per contrastare soprattutto l’influenza dell’Unione Sovietica in Europa. La risposta dei sovietici si concretizzò nel 1955 con la costituzione del Patto di Varsavia, che riuniva tutti i paesi sotto la sua sfera di influenza. Con la dissoluzione dell’unione sovietica, però, come era anche lecito aspettarsi l’organismo dell’alleanza Atlantica ha cominciato ad interrogarsi sulla sua reale funzione. Gli europei per troppi decenni hanno delegato il grande alleato americano alla loro difesa, protetti appunto dall’ombrello della Nato. Ma in cambio hanno inevitabilmente dovuto cedere un po’ della loro sovranità.

Adesso che, sotto Trump, la crisi della Nato è apparsa in tutta la sua evidenza, alcuni partiti europei di sinistra, si interrogano ancora se valga la pena o meno di assecondare le richieste degli americani che spingono per un aumento delle spese militari per tutti i paesi aderenti. Ma la richiesta di aumento di spese militari non è una prerogativa, o come qualcuno vorrebbe far credere un altro dei capricci del bizzoso presidente americano. Sono decenni che si parla della necessita di rivedere lo schema dei contributi da parte dei paesi aderenti al patto atlantico. Perché la richiesta nasce dalle nuove esigenze a cui la Nato di trova ad affrontare, dopo il crollo del muro di Berlino nel 1989. Bill Clinton, presidente democratico i cui danni in politica economia ed estera stanno riverberando le loro nefaste conseguenza ancora adesso ( come quelli d’altra parte di Barack Obama, osannato idolo della sinistra liberal di mezzo mondo) che prese una decisione, poi rivelatasi azzardata, di allargare alla metà degli anni Novanta l’alleanza ad est.

Chiaramente la cosa non fu accolta bene a Mosca, dove all’allora leader russo Boris Eltsin avverti dei pericoli che una simile iniziativa poteva avere per la stabilita della regione. Per calmare le ire russe, Clinton promise che mai nessuna truppa da combattimento della Nato sarebbe stata di stanza nei territori dei paesi dell’est Europa. Promessa presto clamorosamente smentita dai fatti. Di recente Clinton ha provato a spiegare come la sua decisione fosse quasi obbligata e avesse anche una naturale esigenza di allargare le fonti di finanziamento della Alleanza Atlantica “l’espansione della Nato è stata criticata in alcuni ambienti per aver provocato la Russia e persino per aver gettato le basi per l’ invasione dell’Ucraina da parte di Vladimir Putin. L’espansione è stata certamente una decisione consequenziale, che continuo a ritenere corretta”. D’altra parte, il bilancio della Nato oggi ammonta a circa 2,8 miliardi di euro, cifra insufficiente a finanziare una organizzazione così allargata.

È da oltre vent’anni che si discute di come aumentare i contributi degli stati aderenti al patto. La fatidica cifra del 2%, che ora invece è stata portata al 3% (mentre si discute di arrivare al 5% entro i prossimi dieci anni), è comparsa per la prima volta nel 2006, nel corso di una conferenza stampa al margine del vertice Nato di Riga, in Lettonia. Ma è nel settembre del 2014, dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia, che la decisione viene certificata in un vertice Nato, a Newport in Galles. A quella data solo Stati Uniti, Gran Bretagna e Grecia rispettavano tale importo nelle spese militari. L’impegno fu sottoscritto da tutti paesi (per l’Italia dal premier di allora Matteo Renzi) e poi fu confermato nei successivi vertici nel 2016 sempre da Renzi, nel 2018 e nel 2019 dall’ultra “pacifista” Giuseppe Conte e nel 2021 da Mario Draghi.

Proprio Conte sottoscrisse nel 2019 l’impegno con la Nato, malgrado il suo ministro della difesa Lorenzo Guerrini avesse detto che la cosa fosse assolutamente irrealistica da raggiungere per il nostro paese. Ora con Trump e con le nuove tensioni geopolitiche, però, rimandare come per troppo tempo hanno fatto i paesi europei non sembra più un’opzione sul campo. Giorgia Meloni sta solo cercando di far fede a quella che appare come una necessità per il paese non più procrastinabile. Ed oltretutto la decisione è anche motivata dal rispetto di impegni presi da tutti i leader che l’hanno preceduta negli ultimi cinque anni almeno. La questione non è di semplice prammatica ma è diventata ormai dirimente, perché riguarda persino la stessa sussistenza di un organismo come la Nato, che non può più reggersi quasi totalmente sulle spalle del guardiano del mondo americano.

Barack Obama lo aveva già fatto intendere più volte ai suoi alleati europei che avrebbero dovuto ripensare la loro strategia sulla difesa, perché gli americani non erano più disposti a farsi carico della difesa di tutti. Ma questo spesso si omette di dirlo, perché è troppo comodo e facile addossare tutte le colpe sul brutto e cattivo Donald Trump. Si tratta invece di una esigenza non più rimandabile perché prioritaria per gli stessi interessi europei. Certo come giustamente sostiene la premier italiana Giorgia Meloni sarebbe poi necessario anche ripensare le politiche europee sul patto di stabilità, per scorporare le spese per la difesa dal computo delle rigide regole imposte dai vincoli finanziari di Bruxelles.

Ma l’esigenza dell’aumento delle spese nella difesa, che non vuol dire solo acquistare armi, ma anche investire in sicurezza ed infrastrutture ad essa legate, sembra essere condivisa anche dalla maggior parte degli europei. Questo almeno è quello che risulta ad un recentissimo sondaggio, curato dallo European Council of Foreign Relations, centro di ricerca indipendente specializzato in politica estera e di sicurezza, che ha intervistato quasi 20.000 persone in 12 paesi europei. La maggior parte degli intervistati avrebbe dichiarato di essere favorevole a un aumento degli stanziamenti nazionali per la difesa, con le maggioranze più ampie in Portogallo, Polonia, Regno Unito e Danimarca. Affinché la Nato abbia ancora un senso occorre che sia rifinanziata da tutti i suoi componenti, senza che ci possa essere chi, come la Spagna, per motivazioni tutte interne alla sua già fragilissima maggioranza, vorrebbe essere esonerata.

Stare in una alleanza vuol dire rispettarne onori ed oneri, anche perché come ha detto giustamente Giorgia Meloni, la seconda opzione potrebbe essere quella di uscirne, ma questa soluzione in tutta evidenza, sarebbe certamente molto più costosa, non solo in termini finanziari.

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