“Labour ha alzato tutto: cibo, gas, elettricità, tasse comunali. E i barconi? Non fa nulla. Allora voto Farage.” La frase è di Marian Williams, pensionata di Dover, ex elettrice laburista, ma potrebbe essere attribuita a decine di migliaia di britannici che, il 1° maggio 2025, hanno scelto di ribaltare l’ordine politico del Regno Unito con una matita elettorale. Il protagonista di questa rivoluzione è Nigel Farage, leader di Reform UK, il partito erede del Brexit Party, che ha appena ottenuto un risultato senza precedenti nella storia della destra britannica: 677 consiglieri eletti, un deputato e due sindaci regionali.
La portata dello tsunami politico
I numeri parlano da soli. Reform UK ha conquistato il controllo di dieci consigli locali, compresi quelli in aree strategiche come Staffordshire, Lincolnshire e Durham. Ha vinto nel collegio parlamentare di Runcorn and Helsby per sei voti, strappandolo al Partito Laburista. E ha eletto Andrea Jenkyns, ex deputata e ministra conservatrice, alla guida del Greater Lincolnshire, una regione da oltre un milione di abitanti. Tutto questo senza precedenti di governo locale, senza apparati radicati, senza il supporto dell’establishment mediatico.
Crollano i partiti storici
Il Partito Conservatore esce letteralmente a pezzi da queste amministrative. Ha perso oltre 600 seggi e ora si trova dietro i Liberal Democratici in molte zone d’Inghilterra. La leader Kemi Badenoch ha promesso di ‘ricostruire il rapporto con i cittadini’, ma molti analisti parlano già di una crisi esistenziale per i Tories, stretti tra il moderatismo inefficace e l’ombra ingombrante di Farage.
Il Partito Laburista, sebbene al governo da meno di un anno, è accusato di non aver saputo rispondere alle urgenze quotidiane degli elettori: inflazione, immigrazione illegale, aumento delle imposte locali. A nulla è servita la vittoria in tre delle sei elezioni sindacali: la base si sgretola nel nord, soprattutto nelle ex zone rosse.
“Voglio qualcuno che dica le cose come stanno”
A fare la differenza, spiegano i sondaggisti, è stato il sentimento di disillusione radicale. Molti di coloro che avevano votato per la Brexit nel 2016 o per Boris Johnson nel 2019, si sono sentiti traditi da un sistema che promette ‘cambiamento’ e poi agisce in continuità. Keir Starmer aveva fatto della discontinuità la propria bandiera, ma l’aumento delle tasse e i tagli ai sussidi – come il winter fuel allowance – hanno raffreddato l’elettorato più vulnerabile. In questo vuoto si è inserito Farage con la forza di chi non ha nulla da perdere e molto da promettere.
Immigrazione e tasse: le due leve del voto
Se c’è un tema che ha dominato la campagna elettorale, è stato quello dell’immigrazione irregolare. Il numero di arrivi via mare ha superato le 10.000 unità nei primi quattro mesi dell’anno e, secondo i focus group, la richiesta più urgente degli elettori al governo è: ‘fermate le piccole imbarcazioni’. Un tema che ha soppiantato persino la sanità pubblica nelle priorità dell’elettorato.
Farage ha saputo interpretare questo grido con un linguaggio semplice, diretto, privo di mediazioni. Allo stesso tempo ha promesso la riduzione della pressione fiscale, la semplificazione burocratica e una politica economica più vicina alle classi popolari.
Verso il 2029 (o prima)
Secondo le proiezioni di YouGov, il Regno Unito è oggi un sistema a cinque partiti: Labour, Conservatori, Reform, Liberal Democratici e Verdi. Ma è *Reform UK* a essere al centro della scena, con sondaggi che lo danno intorno al 26-30%. Il sistema maggioritario britannico rende difficile ottenere la maggioranza assoluta, ma se la traiettoria resta questa, Farage sarà l’uomo da battere alle prossime elezioni generali. Che, se il governo crolla, potrebbero arrivare anche prima del 2029.
Conclusione: un Regno disilluso, un leader che cavalca la rabbia
L’Inghilterra che ha votato Reform UK non è quella nostalgica del passato, ma quella esasperata del presente. È un Paese che si sente tradito, impoverito e invaso. Che ha provato ogni opzione disponibile e ora guarda a Farage come ultima ancora di salvezza.
Il tempo dirà se saprà governare con la stessa efficacia con cui comunica. Ma intanto, il segnale è arrivato forte e chiaro: i partiti tradizionali non parlano più il linguaggio del popolo britannico.