«Bella ciao». Il falso inno che il PD vuole imporre per legge.

Dopo ius soli, quote rosa, voto ai sedicenni e patrimoniale poteva mancare nell’abbecedario “programmatico” del Pd di Enrico Letta l’ideona? Ma certo che no. Ecco allora la ciliegina: inserire «Bella ciao» come inno nazionale dopo quelli di Mameli durante le celebrazioni del 25 aprile. Si dirà, in realtà, che l’idea di imporre il pseudo-inno della Resistenza, divenuto tale vent’anni dopo la fine della guerra (di fatto un “fake inno”), circola da un po’ di tempo: ma fino a questo momento sembrava solo una boutade pseudo-identitaria lanciata a ridosso della festa della liberazione. Un modo, se è possibile, per rendere ancora più divisiva una festività percepita in maniera tutt’altro che unitaria dagli italiani. Di ieri, poi, la notizia che la proposta è stata effettivamente depositata alla Camera: targata Pd, Iv e LeU, sponsorizzata da Laura Boldrini, e racchiusa in un ddl a prima firma del deputato dem Gian Mario Fragomeli.

L’idea – al momento – è quella di far eseguire dopo l’inno nazionale anche il brano caro alla sinistra internazionale. Un brano che storicamente non rappresenta nulla di filologicamente attestato quanto, al contrario, «l’invenzione di una tradizione», come ha spiegato l’esperto di canzoni popolari Cesare Bermani: un motivetto mainstream, ormai “senza confini”. Perfetto, insomma, per rappresentare l’Italia che hanno in mente piddini e compagnia cantante. Per questo è tutt’altro che da malpensanti ipotizzare che in fondo la tentazione della sinistra parlamentare sia quella di introdurre surrettiziamente, in questo modo, un inno “di parte”, pronto oggi a essere equiparato alle parole del giovane patriota Mameli. E domani, chissà…

«Bella ciao» come inno “sostituzionista” a tutti gli effetti, insomma: colonna sonora di una riscrittura della storia nazionale ad uso e consumo di una narrazione fragilissima (il fantomatico “mito” della Resistenza senza ombre nè macchie: una ricostruzione che non ha mai convinto né gli accademici né, tantomeno, gli italiani), sulla quale – sembrerà paradossale – insistono di più oggi i nipotini dei partigiani di quanto abbiano fatto i partigiani in carne ed ossa nel dopoguerra.

Ma paradossale non lo è per nulla, dato che il partito di riferimento – il Pd – continua a fare dell’astrazione e dell’arbitrio della teoretica gli assi cartesiani di una proposta politica bocciata dagli italiani (i dem sono ormai terzo partito) e che solo grazie al deep State continua a determinare politiche pubbliche. Non stupisce, dunque, che in attesa che torni la “realtà” – ossia il confronto delle libere elezioni – Letta, compagni e 5 Stelle continueranno in tutti i modi a sfruttare furbescamente la pseudo-maggioranza parlamentare (alla faccia dell’unità nazionale!) per colpire il più possibile i contrafforti culturali, spirituali e identitari degli italiani. Il risultato, per loro, sarà continuare a risultare sempre di più come il partito “antipatico” per eccellenza: con un inno falso come la proposta fittizia e falsa di Italia che hanno in testa.

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