Bomba di Di Matteo contro Bonafede. Ministero a rischio?

In principio furono le dimissioni di Francesco Basentini, capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria scelto, all’atto dell’insediamento, dal Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, resesi necessarie in seguito all’apertura di quel vaso di Pandora rappresentato dalla scarcerazione di vari elementi di spicco del crimine organizzato.

Ma andiamo per ordine: è il 27 aprile scorso quando, all’interno del programma televisivo “Non è l’Arena”, viene pesantemente criticata la decisione governativa di concedere, a causa della pandemia, la scarcerazione di alcuni boss – tra cui Pasquale Zagaria, uomo di spicco del clan dei Casalesi, e Raffaele Cutolo, boss della Nuova Camorra Organizzata – segregati in regime di 41bis, per essere condotti ai domiciliari. Ufficialmente per “alleggerire il sistema carcerario durante la gestione emergenziale”.

Una decisione fatta passare nel silenzio da parte dell’esecutivo, ma duramente condannata dalle opposizioni, da alcune voci interne alla stessa maggioranza – ma distanti dal presidente del consiglio e dal ministro Bonafede – e soprattutto dai magistrati, dalle varie associazioni anticamorra e dalle forze dell’ordine: sono soprattutto queste ultime ad appoggiare ed approvare la netta requisitoria portata avanti da Massimo Giletti nel suo contenitore su La7.

Nei giorni successivi esplode la bomba: i molti dubbi sull’operato del capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria – colui che nel Paese gestisce le carceri – scuotono le fondamenta del Palazzo. Riesce molto difficile credere che chi gestisce il sistema carcerario italiano non sappia cosa significhi rimettere in libertà i membri apicali dei sistemi mafiosi. Da più parti – inoltre – viene ventilata, quantomeno, l’inadeguatezza del Ministro Bonafede e del suo uomo nell’affrontare il fenomeno mafioso.

Ed è così che, nella speranza di chiudere il vaso, Francesco Basentini – probabilmente su pressioni dello stesso Ministro della Giustizia, il 1o maggio, rassegna le sue dimissioni, lasciando vacante l’incarico di capo del dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Nelle prime ore, per la sua sostituzione, si fa il nome del pm palermitano Antonino Di Matteo, magistrato responsabile dell’inizio delle indagini sulle stragi di mafia in cui vennero uccisi Falcone Borsellino e le rispettive scorto. Attività per le quali ricevette la minacce di morte da parte del boss mafioso Totò Riina, che richiesero per lui l’adozione di una scorta permanente con il massimo livello di protezione.

Il 2 maggio viene così formalizzata la sostituzione del dimissionario Basentini: a capo del DAP viene promosso Dino Petralia, procuratore generale di Reggio Calabria attivo nell’antimafia dai primi anni ‘80 ed uno dei massimi esperti del sistema ‘ndrangheta.

Veniamo così al 3 maggio. Su La7 va a in onda “Non è l’Arena”, argomento caldo della serata la sostituzione al vertice del Dipartimento: alla soddisfazione di presentatori e pubblico si accompagna una difesa cieca – portata avanti dall’ex iena ed europarlamentare Dino Giarrusso – dell’operato del Ministro della Giustizia: una difesa, ai più, apparsa sconclusionata, con tanto di “gobbo” sul quale leggere un discorso scritto e molto poco sincero.

Lo stesso Giarrusso autore, nei giorni precedenti, autore di un panegirico sul Presidente del Consiglio Conte, definito “il politico maggiormente preso di mira della storia della Repubblica”, cosa che gli è valsa le critiche ed il dileggio della quasi totalità dell’opinione pubblica.

In mezzo allo sperticarsi di questa difesa a spada tratta, giunge in trasmissione la chiamata del pm Di Matteo, sentitosi chiamato in causa. E la bomba esplode, con un fragore tale da scatenare un terremoto nel sistema giustizia.

“Nel 2018…venni raggiunto da una telefonata del ministro…mi chiese se fossi disponibile ad accettare l’incarico…nel DAP…o in alternativa quello di direttore generale degli Affari penali…Chiesi 48 ore di tempo…e nell’attesa vennero trasmesse a procura antimafia e…al DAP alcune informazioni”.

Ed è qui che accadde qualcosa: alla scadenza delle 48 ore, nel momento di dare la sua disponibilità per guidare la massima autorità nelle gestione delle carceri nazionali, il dietrofront del Ministro: “Improvvisamente…il ministro mi disse che ci aveva ripensato…e che nel frattempo avevano scelto di nominare…Basentini. Ci aveva ripensato…o forse qualcuno lo aveva indotto a ripensarci”, facendo riferimento a delle rimostranze di alcuni boss condannati al 41bis – regolarmente acquisite – secondo i quali, se fosse stato nominato Di Matteo – “Questo butta la chiave”.

Di fronte alle affermazioni del pm, non si è fatta attendere la replica telefonica del Ministro, intenzionato a smentire il magistrato: “Rimango…esterrefatto…perchè si fa trapelare un fatto sbagliato. Dire agli italiani che lo Stato arretra di fronte alla mafia è un fatto grave. Sapevo chi stavo per scegliere e…quella intercettazione era già stata pubblicata ed acquisita…perchè le fa la polizia penitenziaria. Quando…venne al ministero, gli dissi che tra i due ruoli sarebbe stato…più importante quello di direttore degli Affari penali…nell’interesse della lotta alla mafia”.

In trasmissione, però, secca è giunta la replica di Di Matteo, che spiega come la gestione del sistema carcerario – contrariamente a quanto affermato dal Ministro – è fondamentale nella lotta al crimine organizzato, poiché lasciare aperte delle falle può consentire ai boss mafiosi di continuare a comandare l’operato dei clan anche una volta dietro le sbarre.

Infine, a chiusura dell’intervento, la sua replica finale, puntuale e precisa – che solleva più di un dubbio sulle parole di Alfonso Bonafede: “Io non ho interpretato nulla…ho raccontato dei fatti precisi e li confermo”.

Dove sarà la verità? Risulta difficile dubitare delle parole di Antonino Di Matteo, perché una figura operante nel sistema giustizia da quasi 40 anni non può non essere a conoscenza della rilevanza delle sue affermazioni. Ed è su questa base che gran parte dell’opinione pubblica nazionale oggi richiede a gran voce le dimissioni del Ministro della Giustizia.

Ci si augura che lo Stato italiano non si sia reso responsabile di una scelta di favore nei confronti delle mafie. Ci si augura che questa non sia stata portata avanti da chi si è autonominato difensore degli italiani. Ci si augura che chi si professava diverso, chi si professava in grado di smontare i vecchi sistemi, chi si professava in grado di aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, non si sia limitato a mangiare il tonno.

Si sa, la via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni. Ma sempre all’inferno conduce.

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