Pubblichiamo la traduzione in italiano dell’articolo dal titolo originale “Milei’s Blessed Madness” a cura di Álvaro Peñas e José Papparelli per The European Conservative.
Abbiamo visto per la prima volta Javier Milei di persona al “Viva 22”, l’imponente evento organizzato da VOX a Madrid sabato 8 ottobre dello scorso anno. Il suo discorso, sebbene incentrato sull’economia, è stato molto incisivo: “Voglio lasciare un messaggio: questo non è per i tiepidi, le soluzioni intermedie non sono valide qui, perché sono funzionali a un maggiore socialismo, al comunismo… Non abbiate paura, andate a combattere la battaglia contro lo zurderío (parola usata in Argentina per indicare la sinistra), vinceremo. Non abbiate paura, siamo superiori produttivamente, siamo superiori moralmente, andate a combattere. Questo non è per i tiepidi, questo è per prendere i socialisti in faccia e vincere questa battaglia”. Milei ha chiuso il suo discorso davanti alla folla come fa nel suo Paese, con il suo slogan e il suo grido di battaglia, con le braccia alzate in alto, gridando e arringando il pubblico per tre volte: Viva la Libertad, carajo! La folla ha risposto tra gli applausi con un Viva! In quell’occasione, il politico argentino praticamente sconosciuto non deluse i partecipanti alla festa dei militanti e dei seguaci di Santiago Abascal. Lì aveva fatto il suo primo passo in Spagna e in Europa, verso quello che è oggi: il politico più popolare e controverso del momento, il presidente eletto dell’Argentina.
Il giorno successivo, domenica 9, ci siamo recati di buon’ora al “Viva 22”. È stato allora che, avvicinandoci all’area principale, abbiamo visto Javier Milei, accompagnato dalla sorella, che passeggiava tranquillamente per la fiera. Era un buon momento per avvicinarsi al “Peluca” (è soprannominato “el Peluca” o “el León” per la sua rigogliosa e incolta capigliatura), e ne abbiamo approfittato. Milei ci ha salutato cordialmente, anche se il suo gesto all’inizio era serio. Tuttavia, quando ha sentito l’inconfondibile accento argentino di uno di noi, il suo volto è cambiato e ha sorriso riconoscendo un connazionale. Durante questo breve incontro, Milei si è dimostrato molto cordiale, attento e persino felice, e per un attimo è sembrato che due argentini della stessa città, due porteños, si fossero appena incontrati a Madrid e stessero condividendo qualche aneddoto. Naturalmente abbiamo deciso di immortalare il momento con una fotografia, poi è tornato il personaggio, il politico, e Milei ha fatto il suo gesto caratteristico: sguardo in picchiata verso la macchina fotografica, broncio e entrambi i pugni con i pollici alzati rivolti verso l’altro a forma di “L”. Questo gesto inconfondibile non è solo con chi gli chiede di scattare un selfie o una foto, ma con chiunque venga ritratto insieme a lui, sia esso un esponente del suo partito, uno stretto collaboratore, un leader di una forza politica amica, un giornalista, un dirigente sindacale, chiunque venga immortalato con la sua figura. Questo gesto equivale a una firma autografa che rende evidente la sua autenticità. Indica già che non è un politico qualsiasi, ma un artista, una star che è in debito con il suo pubblico.
Oltre al suo carattere, Javier Milei possiede una forte retorica, uno stile senza pregiudizi, un messaggio chiaro, speranzoso e duro. Riunisce freschezza, passione e illusione in un amalgama di etica ed estetica esplosiva, condita da un’immagine personale che lo contraddistingue per strada e tra la gente: una giacca di pelle nera e i capelli arruffati. E non si tratta di un’impostura, ma di qualcosa di naturale che viene percepito. La sua immagine è più vicina a quella di una rockstar che a quella di un economista della Scuola austriaca. È chiaro che Milei è un politico di destra di questo secolo, che rompe con l’archetipo fossilizzato del vecchio saggio.
Milei, da buon artista, interpreta anche un personaggio, quello del politico, perché non si considera uno di loro. Per lui i politici costituiscono una vera e propria casta privilegiata, una casta che ha depredato gli argentini e si è spartita le ricchezze del Paese come un bottino. Milei, come ha dichiarato in numerose occasioni, è un “outsider”, non è un politico di professione e non fa parte della casta. Milei è qualcosa di diverso, un fenomeno di massa e un leader che non ha paura di chiamare le cose con il loro nome. Dice con coraggio ciò che milioni di suoi compatrioti vorrebbero dire, non solo sentire. Questo coraggio è anche un altro degli elementi che indicano che è lui che può dare una svolta alla catastrofe che sta vivendo il suo Paese: “Oggi inizia la ricostruzione dell’Argentina”, ha detto appena vinte le elezioni presidenziali, ridando speranza a una maggioranza che era stata messa a tacere.
È curioso che, poco più di due anni fa, Javier Milei fosse sconosciuto. Il suo movimento, La Libertad Avanza, non è nato dai partiti politici tradizionali e quindi non ha goduto di finanziamenti statali o del sostegno dei media. È nato da un piccolo nucleo di stretti collaboratori, come sua sorella Karina e Victoria Villaroel, e dall’entusiasmo dei suoi attivisti. Il suo carisma ha fatto il resto. Nacque così il fenomeno Milei, un movimento di massa attorno alla forza della sua personalità, alla sua spontaneità, al suo aspetto trasgressivo e, soprattutto, alla sua vicinanza alla gente. Un fenomeno molto argentino, un misto di rocker e calciatore, sintesi di due delle passioni più popolari del Paese e di due delle sue esperienze di vita prima di dedicarsi all’economia classica: è stato portiere del Club Atlético Chacarita Juniors e front-man degli “Everest”, una rock cover band di canzoni dei Rolling Stones. Calcio e rock, ribellione e libertà, aveva tutto per conquistare il cuore di un popolo anelante alla liberazione, bisognoso di un’ultima catarsi curativa che ponesse fine a decenni di decadenza. Temperamento, atteggiamento privo di pregiudizi, chiarezza, forza, vigore e immagine. La formula non poteva fallire, e così è stato.
Le immagini dei suoi interventi in televisione, dei suoi eventi elettorali, delle sue imponenti carovane che girano la nazione da nord a sud, da est a ovest, nei quartieri più poveri ed emarginati – territori storici del peronismo clientelare, suoi terreni di caccia elettorali privati – inondano i social network. Il simbolo della motosega che falcia gli sprechi della spesa pubblica e la corruzione, al ritmo di musica rock, accompagna la messa in scena della sua campagna elettorale. La pala, altro strumento simbolico della sua ideologia, propone di riprenderla per recuperare la cultura del lavoro persa in decenni di sussidi (detti piani) in cambio di voti per i padroni kirchneristi. Ideologia e spettacolo, idee e spettacolo si fondono in un’inedita proposta politica che rompe con il disincanto e la sclerosi dei benefici che hanno lasciato il suo popolo e il Paese che un tempo era il cosiddetto “granaio del mondo”, in miseria e in coda allo sviluppo e alla crescita economica mondiale.
Nonostante l’entusiasmo generato, nessuno si aspettava la sorpresa delle Elezioni Primarie Aperte Obbligatorie e Simultanee (PASO), in cui è diventato il pre-candidato più votato per le elezioni presidenziali. La sua vittoria ha messo in allarme il “regime” e i media al suo servizio e, come è accaduto in tanti altri Paesi, ha scatenato un’atroce campagna di paura contro Milei. È stato accusato delle più bizzarre questioni personali e ideologiche, con infamie assurde. Le bugie non hanno funzionato. L’apparato propagandistico dello Stato fuso con il peronismo ha fallito. Con Milei la demonizzazione non ha funzionato: il contatto diretto con gli argentini comuni la neutralizza. Quasi 14,5 milioni di argentini hanno optato per le proposte del “liberale libertario”. Quasi 12 punti di vantaggio sul partito di governo guidato da Sergio Massa. Voti che hanno espresso la fine di decenni di decadenza, povertà e immoralità.
Qual è stata la chiave del suo successo? Si dice sempre che la chiave del populismo è la sua trasversalità, la sua capacità di raggiungere diversi strati sociali e di raggiungere le vittime del sistema, della globalizzazione o, in questo caso, del “Kirchnerato”, che è il modo in cui Eduardo Feimann definisce il regime dispotico installato in Argentina. E in Argentina, le vittime sono legioni: i lavoratori che vivono in condizioni precarie con un’inflazione del 140%; i piccoli commercianti e imprenditori soffocati da tasse abusive; i resti di una classe media sempre più impoverita; coloro che soffrono di una delinquenza innescata dalla criminalità organizzata e dal traffico di droga; coloro che sono stufi della corruzione e dell’impunità della classe politica; i poveri e gli emarginati che rappresentano il 50% della popolazione argentina. Tutti coloro che non vivono del sistema dei partiti o delle sue sovvenzioni, e tutti hanno visto in Milei una tavola di salvezza, un ultimo tentativo di non cadere nel baratro e di far tornare grande l’Argentina. Per questo motivo, il voto per Milei non è stato un voto dottrinario per il libertarismo, il minarchismo o l’anarco-capitalismo, ma nemmeno un voto di punizione; è stato un voto di sopravvivenza. Gli argentini comuni ne hanno avuto abbastanza e hanno trovato in Milei un compatriota disposto a prendere il toro per le corna.
Il giornalista Marcelo Bonelli ha posto a Javier Milei una domanda molto diretta alla televisione argentina: “Lei è un pazzo?”. Milei ha risposto: “La differenza tra un genio e un pazzo è il successo”. La verità è che solo un “pazzo” avrebbe osato fare il passo che ha fatto Milei, e per molti le sue proposte sono “follia”. Tolkien diceva che è saggio riconoscere la necessità, anche se può sembrare una follia per coloro che nutrono false speranze. L’Argentina ha bisogno di un cambiamento radicale, di un’alternativa che metta fine alle false speranze vendute dalla sua casta politica e all’eterno ciclo di crisi economica, sociale e politica, che si ripete come la condanna di Sisifo a scalare una roccia fino alla cima di una montagna da cui cadrebbe per il suo stesso peso ancora e ancora.
“Ascoltate, mortali, il sacro grido: Libertà! Libertà! Libertà! Libertà!”. Queste sono le prime due strofe dell’inno nazionale argentino. Per tre volte viene ripetuto quel valore, quella facoltà naturale dell’uomo, quel valore ontologico superiore che definisce la persona umana e che grida anche il motto dell’economista libertario. “Viva la Libertad, carajo!” si sente già forte e chiaro come il ruggito dell’orgoglio di un leone.