Campania, regionali. Lo “sceriffo rosso” chiama a raccolta la nomenklatura del Delukistan

E’ una regola base della politica acchiappa voti che vale praticamente da sempre. La forza di un consigliere regionale va ricercata nel numero di sindaci ed amministratori di cui dispone. Perché sono i sindaci e gli amministratori i veri terminali del consenso sui territori, i veri portatori di voti, i colonnelli a cui è affidato il presidio delle comunità. Di contro, ogni sindaco, ogni amministratore ha bisogno di un consigliere regionale di riferimento per garantire i propri interessi, per far valere le ragioni della propria comunità, per ottenere le necessarie coperture, politiche e finanziarie, laddove tutto si decide.
Il punto è che un sindaco nell’esercizio della propria funzione coltiva la naturale ambizione ad andare oltre la fascia tricolore, lavora, come è ovvio che sia, con l’obiettivo di raggiungere nuovi obiettivi, talvolta nelle vesti di sindaco, magari puntando al Consiglio provinciale e talvolta persino alla Presidenza, talvolta nell’ambito di un ente di servizio, ovvero calibra la propria strategia per tentare il colpaccio in Regione provando a sfruttare gli spazi che il sistema elettorale restituisce.
Basterebbe ripercorrere quanto accaduto nel corso degli ultimi venti anni, ad ogni passaggio elettorale, e fare la conta dei sindaci o dei cosiddetti amministratori che hanno provato la corsa per uno scranno in assise regionale per avere la misura del fenomeno e per cogliere la ratio della misura introdotta nella nuova legge elettorale campana per volere dei consiglieri di maggioranza.
Vietare la candidatura al Consiglio regionale anche ai sindaci dei piccoli comuni significa mettere fuori gioco un esercito di potenziali candidati, vuol dire mantenere il controllo del consenso sui territori, scongiurare la proliferazione di candidati e liste. Un sindaco che si candida non lo fa mai da solo, ma sempre e comunque in ragione di accordi definiti, del sostegno di altri sindaci e altri amministratori. Un sindaco che si candida blinda la sua maggioranza e spesso persino la minoranza, può contare sulla solidarietà di altri sindaci e di altri amministratori, rompe equilibri acquisiti, sottrae utilità marginali potenzialmente determinanti.
Quello stesso sindaco, però, nel momento in cui è costretto a restare in panchina dalla legge ha tutto l’interesse ad accreditarsi, a scegliere il cavallo giusto da sostenere e da eleggere, il riferimento fidato attraverso cui tutelare e promuovere gli interessi della propria comunità. E un sindaco, qualsiasi sindaco, ci pensa bene prima di rimettere il mandato per tentare la corsa alle regionali, in un contesto che non lascia grandi margini a certezze: perché una cosa è fare la campagna elettorale esercitando la funzione e sapendo di poterla conservare in caso di mancata elezione, altra cosa è lasciare ogni spazio di potere nella consapevolezza che se le cose vanno male non c’è nessun paracadute.
Se dunque oggi, alla luce di quanto prevede la legge elettorale appena approvata, ogni consigliere regionale uscente può fare la conta degli amministratori di cui dispone, può pianificare la propria campagna elettorale sapendo di poter contare su di un certo numero di sindaci, sulla base di realistiche prospettive elettorali comune per comune, nel momento in cui la norma dovesse venir meno tutti i calcoli salterebbero, perché basterebbe la candidatura anche di un solo sindaco, sufficientemente forte per riconoscibilità e relazioni, a mettere in discussione ogni previsione, a far saltare gli equilibri. È la logica del voto strutturato, per meglio dire del voto di apparato.
L’unica logica che conta quando si vota per le elezioni regionali, che lasciano margini minimi ed irrilevanti al voto di opinione, che premiano sempre la coalizione più ampia, con il maggiore numero di liste. È la logica stessa del meccanismo elettorale che costringe alla militarizzazione dei territori, è la sola logica possibile in un contesto nel quale la leva pubblica continua a rappresentare la principale leva economica ed occupazionale, a partire proprio dai Comuni.
Questo il vero ricatto su cui in Campania Vincenzo De Luca ha costruito la mediazione con la sua maggioranza per ottenere l’approvazione della nuova legge elettorale, questa è la ragione per la quale ognuno di quei consiglieri è ossessionato dal rischio che salti il divieto di candidatura per i sindaci, piuttosto che dalla pretesa del governatore di ottenere il terzo mandato. La vera minaccia viene dal Tar, che potrebbe accogliere il ricorso delle opposizioni e invalidare l’intera legge elettorale, piuttosto che dalla Consulta, che potrebbe tutt’al più accogliere il ricorso del governo contro la legge elettorale campana mettendo De Luca fuori gioco ma salvaguardando il resto dell’impianto normativo.

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Giovanni Curzio
Giovanni Curzio
Giovanni Curzio, 21 anni, napoletano, studente alla facoltà di Giurisprudenza della Università degli Studi Suor Orsola Benincasa. Da sempre è appassionato di giornalismo sia di cronaca che sportivo. Collabora anche con agenzie di stampa ed emittenti radiofoniche e televisive della Campania.

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