Chi per 30 anni ha svenduto l’Italia non può fare il maestrino in tema di privatizzazioni

Giorgia Meloni, intervistata lunedì scorso da Nicola Porro durante la trasmissione televisiva Quarta Repubblica, ha affrontato numerose questioni di politica interna ed estera, senza dimenticare gli equilibri europei. Il Presidente del Consiglio ha anche fatto riferimento al progetto del Governo mirato a privatizzare in parte o del tutto alcune aziende pubbliche, e vogliamo ora soffermarci proprio su tale argomento. La premier ha anzitutto risposto per le rime dinanzi ad una provocazione del quotidiano la Repubblica. Il giornale diretto da Maurizio Molinari aveva intitolato una prima pagina così :”L’Italia è in vendita”. Riferendosi ovviamente al piano di privatizzazioni al quale sta lavorando il Governo Meloni. La numero uno di Palazzo Chigi ha affermato, e non le si può dare torto, di non voler accettare lezioni di italianità e di interesse nazionale da chi ha fatto diventare francese la storica casa automobilistica di Torino, l’italianissima Fiat oggi risucchiata in Stellantis, ed ha sede legale e fiscale all’estero. Si sa, il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari è da qualche anno nelle mani della famiglia Agnelli. Con tutto il rispetto per John Elkann, i suoi familiari e i suoi collaboratori, non può fare ramanzine, rivolgendosi a coloro i quali curano l’interesse nazionale attraverso l’azione di governo, chi ha condotto scientemente fuori dall’Italia il proprio interesse particolare.

Vi è poi tutto un mondo, italianissimo, composto da dirigenti pubblici divenuti poi leader politici come Romano Prodi ed elementi del grande capitale, sempre coccolati da la Repubblica, dagli altri cosiddetti giornaloni e dalle varie classi dirigenti di turno del campo di centrosinistra, che farebbe bene a nascondersi nel momento in cui si parla di privatizzazioni in Italia. Questo insieme di interessi e poteri, i cui componenti sono in parte ancora vivi e vegeti, non ha proprio nulla da insegnare a Giorgia Meloni e ai suoi ministri in merito alla cessione a privati di quote di aziende pubbliche. Tante privatizzazioni, iniziate negli anni Novanta e proseguite sino ai primi anni Duemila, che hanno coinvolto alcuni capitalisti ritenuti illuminati, i tanto incensati capitani coraggiosi, con la costante benedizione della politica di centrosinistra, e dei suoi accoliti attivi nella informazione, e la sicura estraneità della destra, hanno prodotto quasi più guasti della partecipazione statale, che pure si è ben impegnata a fare male in determinati settori. Alcune aziende, invece di andare incontro ad una fase di rilancio, hanno addirittura subìto ridimensionamenti e si sono ritrovate più indebitate di prima. Vi sono state svendite e regalie a gruppi ed imprenditori valutati, non per la capacità finanziaria e la presentazione di un buon piano industriale, bensì, per l’appartenenza ad un particolare cerchio magico di amicizie. Costoro hanno scaricato i loro debiti sulle imprese acquistate dallo Stato, privatizzando gli utili e socializzando le perdite. Tali dismissioni delle partecipazioni statali in diverse società, hanno visto lo svolazzare di un ristretto numero di rapaci e i piccoli azionisti hanno avuto ben poca voce in capitolo. Non è mai divenuto realtà, in quegli anni, un tipo di azionariato popolare simile a quello introdotto da Margaret Thatcher nel Regno Unito e da Ronald Reagan negli Usa. Ricordiamo un poco più nel dettaglio almeno la “madre di tutte le privatizzazioni”, battezzata così dall’allora presidente dell’IRI Romano Prodi, ossia, la cessione di Telecom.

Il racconto ufficiale narra che Prodi e Carlo Azeglio Ciampi lavorassero nel 1997 per un ampio azionariato popolare a sostegno della privatizzazione di Telecom, ma che il loro piano sia stato fatto saltare dall’opa ostile costituita dalla scalata di Roberto Colaninno e della sua cordata. È difficile stabilire quanto ostile fosse l’operazione di Colaninno anche perché essa non fu poi ostacolata dal Governo allora in carica, presieduto da Massimo D’Alema, che rinunciò ad esercitare la golden share. La scalata di Roberto Colaninno, fra l’altro, padre di Matteo, ex deputato del Pd, determinò un forte accentramento di potere a scapito dei piccoli azionisti e una montagna di debiti a carico dell’ormai acquisita Telecom, che peraltro si trascinano tutt’oggi. Il Financial Times definì quella acquisizione come “una rapina in pieno giorno” ai danni dei piccoli azionisti. Le privatizzazioni degli anni Novanta, coordinate di fatto da Prodi, D’Alema, compagni e amici, sono state oggetto anche di un’analisi molto severa messa a punto dalla Corte dei Conti nel 2010. Ecco, Giorgia Meloni non ha amici desiderosi di scalare aziende pubbliche, perciò, le privatizzazioni del suo Governo punteranno ad eliminare, e a fare incassare dei soldi allo Stato, (sono previsti 20 miliardi in tre anni, utilizzabili poi a fini sociali e a diminuire le tasse), la presenza pubblica dove non serve o si rivela persino dannosa, e a mantenerla laddove essa è invece strategica e irrinunciabile. Senza dimenticare l’azionariato popolare, che rende migliore e più credibile ogni dismissione della partecipazione dello Stato nella economia.

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Roberto Penna
Roberto Penna
Roberto Penna nasce a Bra, Cn, il 13 gennaio 1975. Vive e lavora tuttora in Piemonte. Per passione ama analizzare i fatti di politica nazionale e internazionale da un punto di vista conservatore.

3 Commenti

  1. L’articolo di cui sopra mischia affermazioni vere con commenti di mediocre polemica politica in cui non mi interessa entrare.
    Per ciò che mi ricordo le privatizzazioni fatte in passato (e malissimo) avevano lo scopo di ripianare i conti pubblici o superate momenti di difficoltà economica o comunque questioni di una certa gravità finanziaria.
    Se, come viene spesso affermato, l’economia va molto bene, l’occupazione cresce, gli indici di borsa e la finanza non preoccupano, perché vendere i “gioielli di famiglia ”??? La vendita di aziende sane o parte di esse , si fa per emergenze economiche o quando i conti non tornano; questo è PREOCCUPANTE!!!
    Cambiano i governi ma la musica è sempre la stessa??? Se in passato le vendite sono state delle pessime scelte perché ora dovrebbero essere una genialata????
    Ho paura che alla fine della fiera in Italia il vero problema è sempre lo stesso: carenza di SERIETÀ RESPONSABILITÀ E SENSO DEL DOVERE.

    • Le privatizzazioni non vengono fatte solo per fronteggiare crisi economiche e finanziarie, ma per fare arretrare lo Stato laddove la sua presenza si rivela non necessaria e magari costosa e inefficiente. Lo Stato, per dire, non deve produrre pomodori o latte, ma limitarsi a quei settori strategici dove la sola proprietà di privati è praticamente impossibile. Privatizzare dove si può, senza svendere agli amici degli amici, fa bene sia allo Stato che alla economia in generale. Ci sono settori dove i privati e il mercato possono fare meglio della burocrazia pubblica.

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