Chiara Colosimo: «Nel segno di Borsellino, la verità si costruisce con i fatti»

Nel trentatreesimo anniversario della strage di Via D’Amelio, il Tribunale di Palermo si erge non solo come luogo fisico, ma come simbolo di una giustizia che ancora cerca risposte. Qui, tra le aule che hanno visto passare il coraggio di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, abbiamo avuto l’onore di intervistare il Presidente della Commissione Antimafia, Chiara Colosimo. Le sue parole, pronunciate in un contesto così carico di storia e significato, risuonano con la forza di chi sa che commemorare non basta: serve agire, cercare la verità, costruire un futuro che onori il sacrificio di chi ha dato la vita per la legalità.

Trentatré anni dopo quel 19 luglio 1992, quando l’esplosione in Via D’Amelio spezzò la vita di Paolo Borsellino e degli agenti della sua scorta – Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina – la ricerca della verità resta una ferita aperta. 

Una verità che, come ha sottolineato Colosimo, non può essere costruita su ipotesi o narrazioni, ma deve fondarsi su ciò che Borsellino stesso ci ha insegnato: gli atti, i documenti, i fatti. «Abbiamo deciso di partire non dai depistaggi, ma dalle domande dei figli, dagli atti», ha dichiarato il Presidente. «Vogliamo aprire tutte le carte, desegretare tutto ciò che è ancora nascosto. Non faremo sconti a nessuno». 

Parole che segnano un cambio di passo deciso rispetto al passato, quando troppe relazioni parlamentari si sono perse in tecnicismi o reticenze. Oggi la Commissione Antimafia sembra voler cambiare rotta, ponendo al centro le famiglie delle vittime, la giustizia e, soprattutto, i giovani.

Paolo Borsellino aveva un’instancabile fiducia nei giovani. Negli ultimi giorni della sua vita, nelle scuole, nelle piazze, nei confronti con studenti e cittadini, parlava a loro con una speranza che non era mai retorica, ma un invito concreto a raccogliere il testimone. «Non cerco più altrove, se non nei vostri occhi», diceva, rivolgendosi a chi avrebbe scritto il futuro dell’Italia. 

Colosimo riprende questa lezione con forza: «Ai ragazzi dobbiamo ricordare che il 1992, per quanto lontano possa sembrare, ha cambiato le loro vite. Ha segnato la storia d’Italia. E oggi tocca a loro, perché la fascinazione della criminalità organizzata è ancora un rischio reale, capace di insinuarsi nelle pieghe della società». 

La mafia, infatti, non è solo quella delle stragi. È anche quella che si nasconde nella normalità: un prodotto contraffatto comprato con leggerezza, un lavoro in nero accettato per necessità, un sopruso taciuto per paura. 

Per questo, Colosimo insiste sull’importanza di un’educazione alla legalità che parta dalle scuole e si traduca in scelte quotidiane. Le istituzioni devono essere presenti, soprattutto nelle aule e nelle periferie, per costruire un antidoto alla criminalità organizzata, che prospera dove lo Stato appare lontano o assente. 

L’intervista si chiude con una frase che racchiude l’essenza del messaggio di Colosimo e, prima ancora, di Borsellino: «Tutto quello che si fa nella propria vita può essere nel segno di Paolo Borsellino, di Giovanni Falcone e degli agenti delle loro scorte». È una frase semplice, ma di una potenza disarmante. 

Parla di memoria, certo, ma anche di responsabilità individuale. Parla di un’Italia che non si arrende, che sceglie ogni giorno di combattere la mafia con le armi della giustizia, della trasparenza, della coerenza. Parla di un Paese che, trentatré anni dopo, può ancora trovare nei valori di Borsellino e Falcone la forza per costruire un futuro migliore. 

Perché la loro eredità non è solo un ricordo: è un invito a vivere, ogni giorno, nel segno della verità e della legalità.

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Alessandro Nardone
Alessandro Nardone
Consulente di marketing digitale, docente alla IATH Academy, è autore di 9 libri. È stato inviato di Vanity Fair alle elezioni USA dopo aver fatto il giro del mondo come Alex Anderson, il candidato fake alle presidenziali americane del 2016.

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