Chiedete scusa ad Angela Carini, vittima del Woke!

Il caso Khelif-Carini dimostra l’assurdità di regole confuse e piegate all’ideologia. Nello sport servono categorie chiare: maschi e femmine. Angela Carini non fu sconfitta solo sul ring, ma anche da chi, per ideologia, scelse di umiliarla

In questi giorni Imane Khelif è tornata al centro dell’attenzione mediatica dopo che il suo ex manager aveva annunciato il suo ritiro dalla boxe, notizia che l’atleta algerina ha smentito poche ore dopo. La vicenda ha riacceso i riflettori su una figura che già un anno fa aveva diviso l’opinione pubblica: Khelif, atleta “intersex”, aveva fatto scalpore travolgendo in appena 46 secondi la nostra Angela Carini, prima di spianarsi la strada verso l’oro olimpico.

Un episodio che fece scalpore in tutto il mondo, perché non si trattava semplicemente di un incontro di boxe, ma del simbolo di un problema enorme e ancora irrisolto: la confusione normativa, il cedimento ideologico e il dominio del pensiero “woke” nello sport internazionale.

Khelif è portatrice di una condizione chiamata “iperandrogenismo”, che comporta livelli molto più alti di testosterone rispetto a una donna biologica. Non stiamo parlando di una lieve anomalia, ma di un fattore che incide in modo determinante sulla prestazione fisica, in una disciplina come la boxe dove forza, resistenza e potenza fanno la differenza. In altri termini, non si trattava di un match ad armi pari.

Il problema è noto da anni: le federazioni internazionali non hanno regole univoche. Il Comitato Olimpico Internazionale aveva dato il via libera a Khelif, mentre la federazione di boxe l’aveva esclusa dai Mondiali. Un paradosso che dimostra come la politica e l’ideologia abbiano ormai più peso della scienza e del buon senso.

Nonostante questo, Carini non solo fu sconfitta, ma subì un’autentica gogna mediatica. Invece di essere tutelata, fu attaccata e ridicolizzata da chi, in nome dell’ideologia progressista, difendeva a spada tratta Khelif e bollava come “omofobi” o “arretrati” tutti coloro che osavano sollevare dubbi.

Per fortuna, ci fu chi ebbe il coraggio di difendere Carini. Il premier Giorgia Meloni prese posizione con parole nette: “Non sono d’accordo con la scelta del CIO (Comité International Olympique), non lo siamo da anni: quando nel 2021 il CIO cambiò il regolamento, presentammo una mozione per segnalare le conseguenze che poteva avere. È un fatto che, con i livelli di testosterone presenti nel sangue dell’atleta algerina, la gara in partenza non sembra equa. Bisogna fare attenzione: nel tentativo di non discriminare, si rischia di discriminare.”

Una posizione che oggi, con il senno di poi, appare ancora più lungimirante.

Intanto, la carriera di Khelif è rimasta sospesa. Dopo la polemica e l’oro olimpico, avrebbe dovuto rientrare a giugno all’Eindhoven Box Cup, ma la competizione – regolata da World Boxing, che prevede test di genere obbligatori – l’ha esclusa. Da oltre un anno non è più salita sul ring: oggi si allena sporadicamente in Algeria o in Qatar, e si dedica più a sponsor e apparizioni che alla boxe vera e propria. Un silenzio agonistico che lascia aperti molti dubbi.

Il punto, però, resta un altro: lo sport non può diventare terreno di sperimentazione per il woke. È giusto e doveroso tutelare i diritti e la dignità di tutti, ma quando si tratta di competizioni fisiche e atletiche, deve esistere un confine chiaro e invalicabile. Le categorie sono due: maschi e femmine. Tutto il resto è una pericolosa manipolazione che distrugge il senso stesso dello sport e penalizza soprattutto le donne, che si trovano a combattere in condizioni impari.

Chi oggi continua a giustificare l’ingiustificabile, dovrebbe invece chiedere scusa ad Angela Carini. Non solo per la sconfitta subita sul ring, ma soprattutto per la violenza mediatica che ha dovuto patire. Angela rappresenta tutte quelle atlete che vedono messo in discussione il loro diritto più elementare: gareggiare ad armi pari.

Lo sport è sacrificio, fatica, disciplina, meritocrazia. Non può essere piegato alle mode ideologiche del momento. Per questo la vicenda Khelif-Carini deve servire da lezione: le federazioni fissino regole chiare e uguali per tutti. Non si può giocare con la vita e la carriera degli atleti in nome di un’ideologia.

Angela Carini merita rispetto, non insulti. E l’Italia deve continuare a difendere i valori reali dello sport.

Resta aggiornato

Invalid email address
Promettiamo di non inviarvi spam. È possibile annullare l'iscrizione in qualsiasi momento.
Michele Intartaglia
Michele Intartaglia
Michele Intartaglia, classe 2004, originario di Procida. Studente di Scienze Politiche alla LUISS Guido Carli.

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.