Christian Raimo, fortunatamente questo nome a molti non dice molto. Insegnante, scrittore ed esimio assessore alla cultura del III municipio di Roma, a guida pd, quarantacinquenne filosofo partorito dall’Università La Sapienza, un passato da cabarettista del quale evidentemente deve aver avuto nostalgia, data l’ultima prodezza.
Il Nostro infatti scrive su facebook che in questi giorni di quarantena, in giro “non si trova roba… Zero fumo, erba, coca, eroina, i tossicodipendenti ma anche chi ne fa un uso abituale, anche solo ludico, sta subendo contraccolpi fisici e psichici notevoli” e conclude questo breve delirio sottolineando che il problema sarebbe il proibizionismo. Sì lo ha detto e non per celia.
Dunque durante una delle più grandi tragedie dal dopoguerra ad oggi, “l’assessore” con senso di responsabilità e rendendosi interprete dei bisogni della collettività si fa portavoce delle necessità impellenti e improcrastinabili della Nazione: la carenza degli stupefacenti.
Che il signore in questione fosse assolutamente fuori dal mondo ed ebbro di ideologia (recte: drogato di ideologia) ne avevamo già avuto prova pochi giorni fa, quando ha definito Sergio Ramelli, ucciso barbaramente da un commando di comunisti a 18 anni con il cranio fracassato da una chiave inglese, “la peggiore icona del neofascismo”. Ma ancora, lo scorso anno fu lui a contrastare aspramente la presenza della casa editrice Altaforte ed a chiederne l’espulsione dal Salone del libro di Torino, industriandosi peraltro nella redazione e pubblicazione di un elenco di scrittori a suo insidacabile parere “indegni” perché fascisti, una lista di proscrizione in cui aveva debitamente inserito autori dei quali si dubita fortemente abbia letto un solo rigo in vita sua.
Mille le sue discutibili esternazioni espresse dalle colonne di Liberazione, dell’Unità, del Manifesto, tante perle che si sarebbe dovuto risparmiare, anche per pietà verso la platea dei suoi stessi lettori.
Tuttavia quest’ultima sulla carenza di droga ai tempi del Covid 19 ha un sapore ancora più amaro, perchè dà la misura del totale disinteresse nei confronti della sofferenza di un intero popolo che oggi lotta contro la morte, contro la crisi più nera, contro un mostro ignoto che costringe, non si sa per quanto ancora, all’isolamento più totale.
Gente che si batte ogni giorno per salvare le vite di chi si ammala, gente che non sa se potrà pagare l’affitto il prossimo mese, se metterà a tavola la cena per i propri figli, se potrà rialzare la serranda della propria bottega. Sacrifici di una vita che stanno evaporando perché oltre a doversi scontrare con l’epidemia, incontrano una classe politica imbelle e impreparata che tentenna e non dà soluzioni. Italiani che si rimboccano le maniche nonostante tutto e tentano di reinterpretare il proprio futuro che sarà pieno del nuovo sudore della fronte di chi avrebbe invece finalmente meritato riposo, perché ha le mani già piagate dal lavoro di decenni. Questo sta accadendo oggi in Italia e alla gente non importa nulla se “non si trova roba”, perché la Nazione è fatta da chi lavora onestamente e oggi piange lacrime di sangue, perseguitata da un sistema malevolo e da un destino infausto.
Invece sappiamo che nel mondo ideale di Raimo, non solo la droga sarebbe libera, ma la vendita sarebbe considerata un servizio essenziale per la collettività, inserito tra gli esercizi commerciali esentati dalla chiusura. Ristoranti, parrucchieri, studi professionali no, coffee shop all’italiana sì e poi giù tutti sotto casa a girare canne ed a tirare cocaina, così la quarantena passa più in fretta, altro che inno intonato in balcone alle 18, roba da sfigati. La scena è surreale, il canovaccio non fa ridere, si comprende bene perché Raimo abbia giustamente smesso di fare cabaret ed abbia iniziato a fare l’assessore del pd.