“Fa un certo effetto vedere una parte dello star system italiano firmare lettere indignate per chiedere ‘stop agli attacchi’. Parliamo degli stessi attori, registi e sceneggiatori che per anni hanno monopolizzato fondi pubblici e palinsesti televisivi, confezionando prodotti spesso autoreferenziali e poco apprezzati dal grande pubblico. Se oggi le sale sono vuote, la responsabilità è della mediocrità elevata a sistema di certe produzioni. Il governo Meloni ha il merito di aver rotto un meccanismo stagnante e clientelare: quello dei contributi a pioggia distribuiti a prescindere da qualità e risultati. Ecco perché chi oggi firma appelli contro il ministro Giuli dovrebbe prima fare autocritica per le troppe pellicole noiose e incapaci di emozionare gli spettatori. L’industria cinematografica italiana ha bisogno di verità, non di piagnistei da salotto: se c’è una crisi, non è colpa della politica che chiede trasparenza e merito, ma di chi ha prodotto film che nemmeno i parenti stretti sono andati a vedere. Altro che censure: qui c’è solo una sacrosanta richiesta di tornare a fare cinema per il pubblico, non per le giurie dei festival. Il ministro Giuli non solo ha tutto il diritto, ma anche il dovere, di riformare un sistema autoreferenziale che per troppo tempo ha pensato solo a raccattare finanziamenti pubblici. La cultura non è proprietà privata di chi ha il microfono più in vista, ma patrimonio di tutti gli italiani. Così come degli italiani sono i soldi che non saranno più regalati a chi di mestiere sa fare solo il cantore della sinistra”.
Lo dichiara in una nota il senatore Raffaele Speranzon, vicepresidente vicario del gruppo di Fratelli d’Italia al Senato.