Negli ultimi giorni si è scatenato un polverone politico attorno al nuovo disegno di legge sulla gestione della fauna selvatica, promosso dalla maggioranza di governo. Ma al di là delle semplificazioni ideologiche, è importante capire cosa sta realmente cambiando — e perché.
Emergenza vera, non percepita
Il punto di partenza è un dato di fatto: alcune specie selvatiche, in particolare i cinghiali, si sono moltiplicate in modo incontrollato. Secondo Coldiretti, nel 2023 i cinghiali in Italia erano oltre 2,3 milioni, con danni all’agricoltura che hanno sfiorato i 200 milioni di euro. A questi si aggiungono decine di incidenti stradali ogni anno e rischi sanitari legati alla peste suina africana, che ha colpito duramente l’industria suinicola nazionale.
In questo contesto, aggiornare una normativa ferma al 1992 — figlia di un compromesso tra ambientalismo e caccia — non è un capriccio politico, ma una necessità.
Fauna da proteggere, ma anche da gestire
La riforma introduce un concetto chiave: la “gestione attiva” della fauna selvatica. Non si tratta di aprire la strada a un Far West venatorio, ma di dotare le Regioni e le autorità competenti di strumenti moderni per intervenire in modo mirato, equilibrato e responsabile. La parola d’ordine è coesistenza: tra uomo e natura, agricoltura e biodiversità, sicurezza pubblica e tutela ambientale.
Tra le novità: l’attività venatoria viene riconosciuta come parte del patrimonio culturale immateriale italiano (in linea con la convenzione UNESCO), e si introducono regole più efficaci per il contenimento delle specie invasive, la sicurezza aeroportuale e la prevenzione sanitaria.
Nessuna “caccia selvaggia”: le bufale smontate
Diverse voci della sinistra e alcune sigle ambientaliste hanno lanciato l’allarme parlando di “caccia nei parchi”, “armi ai sedicenni” e “via libera a sparare nelle spiagge”. Ma la verità è un’altra.
- Niente caccia in spiaggia: è esplicitamente vietata.
- Nessuna arma ai minori: non cambia nulla rispetto alla normativa attuale.
- Niente caccia notturna: non è prevista da nessuna parte della riforma.
- Aree protette intatte: la legge conferma i vincoli già in vigore.
- Controlli in aree private solo con licenza e formazione: per evitare abusi e garantire sicurezza.
Cosa cambia davvero
Il DDL rafforza il ruolo delle Regioni nella pianificazione venatoria, introduce nuove tecnologie per ridurre i rischi (come ottiche per il controllo selettivo), e rende più snella la burocrazia per gli appostamenti e la gestione degli ungulati. Si apre anche alla possibilità di aziende venatorie a scopo di lucro, purché con finalità ambientali e ricadute economiche nei territori rurali.
Importante anche il via libera al trattenimento degli animali abbattuti — ma solo se dichiarati idonei dal punto di vista sanitario — da parte degli agricoltori danneggiati, come forma di compensazione.
Una legge concreta, non ideologica
L’obiettivo è chiaro: dare una risposta reale a problemi reali, come chiedono da anni agricoltori, sindaci, amministratori locali e persino le stesse Regioni. E farlo con una visione pragmatica, lontana dalle ideologie.
L’Italia ha bisogno di una gestione della fauna che sia efficace, rispettosa dell’ambiente ma anche delle persone che lo vivono e lo lavorano. Difendere la biodiversità non significa voltarsi dall’altra parte quando i raccolti vengono distrutti, le aziende chiudono o le strade diventano trappole.
Il nuovo disegno di legge va in questa direzione: più responsabilità, più sicurezza, più equilibrio. E meno fake news.