Nei giorni scorsi, il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani ha rilasciato una dichiarazione in merito ad approccio “glocal” e rapporto con le istituzioni europee che, se analizzata correttamente, apre a numerosi dubbi circa le modalità con cui il nostro Paese intende dialogare con la stessa Europa in un’ottica green, tanto per usare un termine caro ai Cinque Stelle.
Cingolani avrebbe detto che la dimensione locale – sia essa riferita ad imprese o aziende oppure a realtà più piccole – sarebbe tale in un contesto geopolitico se in grado di “spingere per la presa di coscienza del legame tra azioni e sforzi locali da un lato e benefici globali dall’altro, elevando clima e ambiente a beni comuni riconosciuti universalmente […]”.
Ora, clima e ambiente sono beni già riconosciuti come tali da tutti, non servono di certo gli strali di Greta Thunberg o di Papa Bergoglio per rammentarci che il Creato va rispettato in quanto donato e concesso da Dio. Ma nel caso di specie – e qui torniamo alla dichiarazione del ministro – pare che Cingolani abbia avanzato una difesa a spada tratta dell’Europa nella sua versione attuale, dimenticando che negli ultimi decenni è stata proprio questa Europa ad uccidere imprese e produttori locali, stabilendo ad esempio la lunghezza delle zucchine da fornire al consumatore o stabilendo il diametro delle vongole per poter cucinare un buon piatto di spaghetti.
Non a caso Giorgia Meloni da tempo si batte per la creazione autentica di una Europa dei popoli che sorpassi – anzi annulli – l’Europa della burocrazia e della finanza; una Europa insomma dal volto umano, dall’aspetto gentile e non che abbia le fattezze di una matrigna. Ragionare in questo modo non è certo un’utopia, basti pensare al fatto che l’Italia fu tra i fondatori del consesso europeo; se in passato il nostro Paese è stato in grado di imporre la propria linea di pensiero e il proprio bagaglio culturale, perché non può farlo ancora una volta? Perché non può farlo oggi? Non si capisce.
Torniamo un attimo a Cingolani e mettiamoci nei panni di un piccolo imprenditore locale che lotta quotidianamente per tenere aperta la baracca ma che a causa del Covid sta morendo (se non si è già suicidato a causa delle ripetute chiusure a pioggia). Ebbene, un imprenditore di questo tipo come dovrebbe sentirsi di fronte alle parole di un ministro che esalta la dimensione globale dell’Europa senza spendere una parola nei confronti di chi soffre le conseguenze di una crisi economica senza precedenti? Non sarebbe stata più opportuna una critica all’attuale assetto europeo, svelando magari agli italiani quali sono le linee programmatiche del dicastero Cingolani? Tutto questo non è accaduto, almeno fino ad ora, e non sappiano se accadrà.
Nel frattempo in Europa si continuano a decidere cose che con l’Unione non hanno nulla a che fare, mentre manca del tutto (o per fortuna?) una politica di sicurezza comune, per non parlare poi della politica agricola, che dovrebbe essere tema di stringente attualità per dar vita ad una autentica ripartenza.
Insomma, ci auguriamo che il ministro Cingolani torni sui suoi passi e spenda qualche parola anche per i piccoli produttori e per le piccole e medie imprese uccise sia dalle misure restrittive anti-Covid, sia dalle politiche europee prive di visione e di futuro. Ripartire si può, ne prenda atto il governo e ne prenda atto il ministro Cingolani.