Ieri il Senato ha approvato, con 81 voti a favore, il decreto-legge proposto dal Governo sulle regole per ottenere la cittadinanza italiana (in questo articolo trovate sintetizzato il contenuto del provvedimento: Cosa cambia con il nuovo decreto sulla cittadinanza: le modifiche del Senato).
Nel corso del dibattito in Aula a Palazzo Madama, a nome di Fratelli d’Italia è intervenuto, per la dichiarazione di voto, il senatore Roberto Menia, che ha innanzitutto precisato che il provvedimento, al contrario di quanto sostiene l’opposizione, non ha niente a che vedere con una presunta “volontà ritorsiva per punire quegli italiani all’estero che votano in maggioranza a sinistra”. Ed ha quindi ricordato Mirko Tremaglia, “patrimonio della destra italiana” che si è tanto battuto per il voto degli italiani all’estero perchè “nel 1968 andò a cercare la tomba di suo padre, che era morto in prigionia ad Asmara. Trovò quella tomba e la trovò con i fiori freschi. Si chiese allora chi avesse messo dei fiori freschi a suo padre e scoprì che quei fiori freschi li portavano gli italiani che erano rimasti là” dice Menia. Ed aggiunge: “Io da lui ho imparato tante cose, e come lui da decenni ho imparato a conoscere ed amare le nostre comunità all’estero”. Poi, dopo aver ricordato le sue tante visite in moltissimi luoghi nel mondo in cui vivono italiani, che gli hanno permesso di conoscere molto bene il mondo delle comunità dei nostri connazionali all’estero, ha affermato con decisione che “l’italianità non è soltanto sangue. E’ un concetto spirituale, che si riversa anche sulla cittadinanza. E’ un concetto che si basa sui valori che afferma, dal contenuto quasi metafisico. E’ identità, è condivisione della storia, della cultura. La cittadinanza è non solo diritti reclamati, ma anche e soprattutto doveri”. Inoltre, citando Renan a proposito della “Nazione – perché la cittadinanza connette alla Nazione, all’appartenenza allo Stato” – ricorda che essa “si fonda sulla dimensione dei sacrifici compiuti e di quelli che siamo disposti a compiere insieme. Ecco perché essere italiani sta anche nel senso di orgoglio e privilegio. Essere italiani è un privilegio per tutto ciò che rappresentiamo”. E “questa concezione quasi sacrale della cittadinanza non può essere soltanto sangue o solo suolo. La cittadinanza non è un fatto solo burocratico: l’italianità non è un passaporto”.
Ecco, il decreto-legge sulla cittadinanza si è reso necessario per limitare la “corsa al passaporto” e per correggere le tante storture del sistema vigente, tra cui escamotage vari più o meno legali e addirittura la “vendita” di documenti italiani. “Questo mercimonio lurido della cittadinanza italiana non è pensabile che continui. Questo non è amore per l’Italia” tuona Menia. Che aggiunge: “La legge, tra l’altro non guarda solo al presente o al passato, ma deve guardare al domani”, alle nuove generazioni. Anche per loro bisogna fare in modo che la cittadinanza vada meritata.
Il senatore di Fratelli d’Italia ha poi fatto riferimento alle parole di Claudio Antonelli, esule da Pisino d’Istria, secondo cui “Chi, per le vicende della vita, si è spinto oltre i confini di quell’identità che era sancita da consuetudini spesso secolari, feste, riti, ricorrenze, dialetto, piatti tipici, si è accorto, con il passare degli anni, di aver perso un tesoro. La sua identità originaria si è rarefatta, trovando posto in una nuova identità, forse più ampia ma tormentata, più incerta ed incolore. Lo sradicamento è una partenza senza ritorno”. Questo, spiega Menia, vuol dire che “mano a mano che ti scolleghi dal tuo popolo e dal tuo territorio inevitabilmente diluisci l’identità”. Che è la base della cittadinanza. “Goethe, in Viaggio in Italia scrive una cosa bellissima: Ciò che hai ereditato dai padri, riconquistalo se vuoi possederlo davvero. Questo è proprio il senso di quello che vi stavo dicendo. Se non si è in grado di riconquistare quell’identità, la si perde e che sarà? A chi dice che bisogna tutelare l’italianità nel mondo, rispondiamo che la tutela dell’italianità non è un passaporto regalato” dice ancora Menia. Che conclude il suo lungo ed accorato intervento accennando ad un tema che gli sta particolarmente a cuore: la lingua italiana, la cui conoscenza dovrebbe essere “elemento costitutivo connesso all’identità e alla cittadinanza italiana. Come ci insegnava Gioberti, si ricordino tutti, cui cale della Patria comune, che, secondo l’esperienza, la morte delle lingue è quella delle nazioni. Tu sei cittadino se sei figlio di una Nazione, se non parli quella lingua è difficile che tu possa esserne cittadino”.