Contro la “cultura della cancellazione”.

Il saggio di Emanuele Mastrangelo ed Enrico Petrucci.

L’iconoclastia è un “movimento religioso sorto nella chiesa bizantina nei secoli VIII e IX contrario ad ogni culto delle immagini sacre e propugnatore della loro distruzione”. O anche, in senso figurato, “spregiudicata e irriverente denigrazione di principi e credenze”.

Queste definizioni, tratte da Oxford Languages, sono entrambe molto utili per capire meglio qualcosa che, ultimamente, purtroppo riempie assai spesso le pagine dei giornali. Pensiamo per esempio a quando i terroristi dell’Isis hanno distrutto Palmira. O ai numerosi episodi di abbattimento, negli Stati Uniti e non solo, di statue di Cristoforo Colombo e di altri personaggi simbolo di una storia considerata non politicamente corretta.

Di questo fenomeno – l’iconoclastia appunto – se ne sono occupati nel dettaglio Emanuele Mastrangelo ed Enrico Petrucci, che hanno dato alle stampe, con prefazione di Emanuele Merlino, un omonimo interessantissimo saggio (Iconoclastia, Eclettica edizioni dicembre 2020). I due autori, saggisti e divulgatori con all’attivo collaborazioni e pubblicazioni storiche e di approfondimento, analizzano accuratamente quanto sta accadendo nella civiltà occidentale, travolta da un’onda di “cancel culture nata negli ambienti colti dei radical chic e nei campus universitari statunitensi. Così – spiegano – al grido delle parole d’ordine del ‘marxismo culturale’, migliaia di monumento finiscono nella polvere: quelli alla Confederazione, quelli a Colombo e perfino ai Padri Fondatori degli Stati Uniti. L’infezione è arrivata anche in Europa, declinandosi in varie forme per ciascun Paese”. Si tratta, sottolineano Mastrangelo e Petrucci, di “una pazzia collettiva che rischia di distruggere nel nome del politicamente corretto l’intero patrimonio culturale. Un’emergenza alla quale è necessario far fronte subito, prima che sia troppo tardi”. Già, perché il rischio di una vera e propria eliminazione di radici e valori (dunque di ciò che rappresenta le nostre identità e civiltà) è ogni giorno più concreto.

A prescindere da qualunque tipo di convinzione o confessione politico-culturale, la cancellazione della storia e dei suoi simboli (siano essi statue, intitolazioni toponomastiche, librerie e quant’altro) non è mai giusta. Perché significa dare sfogo ad una pazzia collettiva che molto facilmente si trasforma in violenza, materiale e morale. Una damnatio memoriae che ha, insomma, il sapore della censura.

L’iconoclastia o cultura della cancellazione (cioè eliminazione della storia collettiva di un popolo),  come sottolinea giustamente Elena Caracciolo commentando in un suo articolo il volume di Mastrangelo e Petrucci, è una “muratura del pensiero, i cui estremi sono il buonismo a tutti i costi e la violenza con cui lo si difende: nel centro, lo scempio della società storica, la memoria che fa ammenda del suo genio artistico e l’oltraggio monumentale”.

Un fenomeno questo assai pericoloso, che rischia di divenire inarrestabile. Un fenomeno che però può essere arginato studiando, approfondendo. E rispondendo all’odio iconoclastico con la cultura, unica risposta possibile se si vuole davvero sopravvivere alla distruzione non solo del passato, ma anche del futuro di tutti.

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Cristina Di Giorgi
Cristina Di Giorgi
Cristina Di Giorgi, due volte laureata presso l'università La Sapienza di Roma (in giurisprudenza e in scienze politiche), è giornalista pubblicista e scrittrice. Collabora con diverse testate e case editrici.

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