Coronavirus, il Governo si è inceppato e non si “sgrippa”

Lo spirito di collaborazione, l’essere positivi ed il sentimento d’unità sono e devono essere in questo momento i cardini dell’agire di ogni cittadino italiano, che abbia o meno responsabilità di qualsivoglia genere. Però la franchezza e la critica oggettiva sono altrettanto importanti, per non finire nel circolo vizioso della suggestione o, peggio, dell’illusione.

Il nostro Paese ha saputo affrontare in passato grandi emergenze grazie ad una organizzazione statale che sa fare il suo dovere, con professionisti che si sanno coordinare e sul campo portano a casa il risultato. Credo, mal celando un po’ di orgoglio, che la nostra Protezione Civile sia abbastanza invidiata all’estero. E a ragion veduta.

Però il motore di una Ferrari va manutenuto, altrimenti si grippa.

Ci sono tante, troppe cose che fanno capire che l’organizzazione, tanto efficiente in passato, oggi sia totalmente lasciata al caso. Alcuni esempi.

La questioni dei dispositivi di protezione, le tante agognate mascherine. Il governo continua a vantare milioni e milioni di acquisti, da ogni parte del globo; Di Maio non fa che continuare a fare dirette social da ogni dove, spiegando che i suoi ottimi rapporti con la Cina stanno fruttando davvero molto, che l’amicizia poi ti ripaga (povera anima candida che pensa ancora che il mondo delle relazioni internazionali sia mosso dall’amicizia, ma d’altra parte quando la tua formazione si ferma al meetup del MoVimento…); i dati della protezione civile arrivano a parlare di 20 milioni e passa di dispositivi acquisiti. Eppure… il super commissario Arcuri arriva a dire, riportato oggi da Repubblica e al momento non ancora smentito, che “in effetti qualcosa si è inceppato”. Non so a voi, ma a me ricorda il “confesso che sono sorpreso da questa esplosione di casi” del presidente del consiglio Conte intervenuto in diretta nel corso della trasmissione In mezz’ora su Rai 3 il 23 febbraio scorso. Francamente difronte a simile affermazioni, non c’è altro da provare se non sgomento. Non è semplicemente concepibile che la macchina pensata per gestire l’emergenza non solo non stia funzionando, perché a fronte di bolle che riportano mascherine consegnate qui e lì, non c’è riscontro nei magazzini, ma come se non bastasse non si capisce dove sia il problema che inceppa l’ingranaggio.

Insomma il capo, il vertice, dell’apparato amministrativo-organizzativo, semplicemente non sa cosa stia succedendo. Di Maio si vanta dell’ennesimo cargo di mascherine in arrivo, i nostri medici dai pronto soccorso invece ci dicono che non hanno DPI e così finiranno presto per ammalarsi tutti (molti, purtroppo, già si sono ammalati).

Non solo. Il 26 marzo nella conferenza stampa delle 18:00 (che per inciso su YouTube era muta, per evidenti problemi tecnici) un giornalista ha chiesto se ci fosse un dato disaggregato sulle morti, ovvero sapere semplicemente chi muore in ospedale e chi no. Ebbene, no. Non si sa. Forse la centrale operativa d’Italia non ha elaborato il dato. Come se fosse una velleità. Però in compenso se andate sulla pagina di Facebook del Dipartimento della Protezione civile, dove conferenza ha l’audio, a sentire da voi la risposta, scoprirete che il video è stato tagliato proprio in quel punto (minuto 36:11), quando si parla del dati dell’Iss. Un altro problema tecnico? Poco importa, il dato in conferenza non è stato diffuso.

Ma di più. Considerando la penuria di studi clinici pubblicati relativi efficacia e sicurezza nel trattamento della Covid-19, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), proprio per contrastare l’incessante proposta di nuove terapie di cui non si conosce l’efficacia, ha avviato uno studio di grandi dimensioni a cui è stato dato un nome emblematico: Solidarity. Diversi Paesi hanno garantito la propria partecipazione, designando centri ospedalieri disponibili ad arruolare pazienti, vale a dire a coinvolgere malati nella sperimentazione. Tra questi, non c’è ancora l’Italia. Anche questo è stato chiesto nella conferenza del 26 marzo. La risposta è data dall’esponente Oms presente, che per ovvi motivi non può rispondere per l’Italia e infatti non lo fa, poi… basta. Nessun altro dei presenti pensa di dover rispondere alla domanda. È normale?

Insomma, cosa si deduce dal tutto questo? Che forse, il fatto che la prima gara Consip per la fornitura di materiali sia stata bandita il 9 marzo, ovvero in estremo imperdonabile ritardo, non è stata una svita o un’eccezione. Il timore è che tutta la gestione sia così approssimativa e a singhiozzo.

Ma ciò infonde davvero più panico del coronavirus stesso, perché se l’unica cosa che può farci sentire sicuri in questi casi, ovvero lo Stato, smette di essere tale per trasformarsi in una associazione di volontariato che fa le cose alla bene e meglio, allora non abbiamo santi a cui votarci.

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