Cosa lascerei se morissi oggi? È la domanda che mi ronza in testa da quando ho visto le sconvolgenti immagini di Charlie Kirk ammazzato come un cane mentre si confrontava con migliaia di studenti.
Esprimere pubblicamente le proprie idee, se non si è allineati al pensiero unico, è oggi altamente rischioso. Non è retorica. La cosa più grave e insieme paradossale è che gran parte delle responsabilità di questo clima tossico non è degli estremisti dei centri sociali, quindi della base della piramide, ma della punta: classi dirigenti, giornalisti, opinion maker. Sono loro che, proprio in queste ore, stanno inondando giornali e televisioni di odio nei confronti di un ragazzo di 31 anni morto ammazzato mentre esprimeva le proprie idee. Uno spettacolo raccapricciante.
Io ho cominciato a fare politica dopo aver conosciuto la storia di Sergio Ramelli e poi, con lui, di tutti i ragazzi ammazzati negli anni Settanta. Una pagina di storia che la sinistra occidentale sta riproponendo, mutuando lo stesso principio di allora: uccidere un fascista non è reato.
La sinistra esalta questo concetto omicida fino a portare al Parlamento europeo Ilaria Salis, giustamente sotto processo in Ungheria per aver sfondato il cranio a chi non la pensava come lei.
Sulle pallottole di Tyler Robinson, l’assassino di Charlie, erano incise frasi provenienti da quello stesso armamentario ideologico: “Bella ciao”, “Hey fascista beccati questa”. Esaltando quell’“antifascismo militante” al quale chiunque non sia radicalizzato come loro non aderirà mai, per il semplice fatto che è la medesima matrice che ha armato le mani di chi ieri ha ucciso ragazzi come Sergio Ramelli e, oggi, Charlie Kirk.
Temo che l’assassinio di Charlie sia un punto di non ritorno. E lo dico onestamente: chiunque, come me, ci metta la faccia quotidianamente per difendere i valori della civiltà occidentale e combattere apertamente il pensiero unico, oggi si espone al rischio concreto di essere preso di mira da uno squilibrato aizzato dai cattivi maestri che guidano partiti e redazioni.
Se ho paura? Prima di tutto sono il padre di una meravigliosa ragazza. Sarebbe da irresponsabili non averne. La paura, se gestita, ci consente di evitare rischi inutili, ma non è un pretesto per nascondersi. Anzi. Dopo quanto accaduto a Charlie, è mia intenzione battermi con ancora più determinazione, per difendere i nostri valori e la mia comunità. Per spazzare via l’odio che intossica l’Occidente e, come diceva Charlie, “de-radicalizzarlo” affinché chi la pensa diversamente possa tornare a confrontarsi civilmente, come accadeva ai suoi eventi.
E torno alla domanda iniziale: cosa lascerei se morissi oggi?
Lascerei mia figlia Vittoria, il dono più grande della mia vita. Più la guardo, più la vivo e più mi convinco di essere venuto al mondo per incontrare la sua splendida madre e mettere al mondo una creatura tanto straordinaria. Sono così orgoglioso di lei, di come ragiona, del suo carattere, della sua dolcezza così pura e della sua allergia a qualsiasi forma di omologazione. La amo più di qualsiasi altra cosa al mondo.
Poi lascerei pochi spiccioli in banca ma, come diceva mio padre, una reputazione che – credo, ma preferisco lasciarlo dire agli altri – valga molto di più. Lascerei i miei dodici libri più qualche migliaio di articoli.
Lascerei Passeggiata Ramelli, uno splendido scorcio dedicato a Sergio nel posto che più di tutti amo, la mia Como. Lascerei le tante cose che ho fatto con il mio lavoro. Lascerei ciò che ho insegnato ai miei studenti. Lascerei la mia splendida mamma, le mie sorelle, i miei nipoti e tutta la mia famiglia.
Lascerei i miei amici fraterni, e la mia comunità politica. Lascerei Irene. Lascerei i sogni che continuo ad inseguire, tra tutti quello di fare la mia parte per rimettere le cose a posto nella mia città. Lascerei i miei oggetti di poco valore, tra i quali spiccano sicuramente i miei libri e le raccolte di fumetti e vecchi quotidiani. Lascerei la mia Mercedes di ventiquattro anni fa. Lascerei, spero, ma non sta a me dirlo, un buon ricordo in buona parte delle persone che ho incontrato sul mio cammino.
Grazie a Dio posso usare il condizionale. Ragazzi come Sergio e Charlie invece no.
A loro tutto questo è stato strappato via in nome di un’ideologia che da sempre usa la violenza e l’eliminazione fisica dell’avversario come strumento di lotta politica: il comunismo e tutti i suoi derivati.
I nostri leader devono difendere con ancora più determinazione la libertà d’opinione, abrogando ogni forma di censura imposta dai gendarmi del woke e sostenendo concretamente chi investe in informazione libera dal giogo dei media mainstream e dei loro finanziatori intenti a destrutturare la nostra società, come George Soros e Bill Gates, giusto per fare due nomi.
L’errore più grande sarebbe combattere l’odio con gli stessi mezzi usati dagli odiatori: censura e galera per chi dissente. Sarebbe una contraddizione in termini. Al contrario, l’odio si sconfigge difendendo e favorendo la libertà d’opinione: sui social, nelle piazze, ma anche nelle redazioni, negli spettacoli televisivi, nel cinema, nella cultura.
Si difende spezzando il monopolio del conformismo woke che alle nostre latitudini viene trattato con ancora troppa timidezza, forse per paura di essere etichettati come fascisti. Ma tanto già lo fanno!
Diffondiamo libertà, favoriamo e sosteniamo l’informazione veramente libera e non mainstream, con mezzi concreti, compresi i soldi – tanti soldi – perché senza quelli la lotta sarebbe impari. E l’odio sarà spazzato via nel nome dei martiri a cui è stata tolta la vita. Glielo dobbiamo.