Nella pratica clinica, l’esame di una malattia che colpisce il paziente, consiste in tre fasi fondamentali; si comincia con la definizione della eziopatogenesi, cioè della causa della malattia e del modo in cui essa ha agito, passa per la rilevazione clinica dei sintomi, per approdare, infine, alla diagnosi e ai possibili rimedi terapeutici. Lo stesso meccanismo, in realtà, si applica in qualunque problema si presenti nella vita di ciascuno di noi: identificazione della causa, consistenza del problema e possibili soluzioni. Anche in ambito politico- sociale, è la stessa cosa: se un quartiere cittadino pieno di spacciatori presenta un alto tasso di criminalità, è molto probabile che la droga ne sia la causa e quindi è sulla lotta alla droga che si debba puntare per risolvere il problema.
Si tratta, dunque, di una regola generale che dovrebbe valere sempre, ma che, stranamente, nel caso del Covid-19, è stata completamente ignorata. Anche i buonisti e globalisti più accaniti stanno ammettendo, ora, ciò che i pessimi sovranisti hanno sempre sostenuto e cioè che questa dannata pandemia ha un nome preciso: e non è “Covid-19”, come ci hanno sempre fatto credere: quello è solo un invisibile ed incolpevole animaletto che ha bisogno di un ospite da parassitare per sopravvivere, è il mezzo, cioè il fattore patogenetico in termini clinici, attraverso cui la pandemia si è manifestata; il nome della causa vera da cui tutto è partito è WUHAN, la città cinese che è il centro nevralgico degli studi sui virus, a livello mondiale, studi effettuati, si dice, per prevenire la diffusione epidemica di questi fastidiosi animaletti patogeni, ma, secondo rivelazioni neanche tanto recenti, anche per valutare la possibilità di usarli come armi biologiche, sfruttando gli stessi finanziamenti elargiti dagli USA e anche da altri Paesi, ufficialmente finalizzati solo al primo dei due scopi, quello benefico.
Esiste un termine specifico per indicare l’uso improprio di questi virus. “Gain in function”, vale a dire “rinforzo della funzione” e cosa si può rinforzare in un virus se non la sua capacità di contagiare ed aggredire l’ospite che lo accoglie suo malgrado? E in che modo questo servirebbe a controllare e prevenire eventuali pandemie, quando tutto, al contrario lascia pensare, che abbia invece lo scopo di promuoverle, in modo che il Paese promotore venga salvaguardato dai suoi effetti mortali? Perché vedete, l’arma biologica è l’arma di aggressione ideale: agisce lentamente e subdolamente, in modo tale da ritardare la scoperta della causa fino al momento in cui sarà difficile, se non impossibile, metterne in atto i rimedi necessari o, per dirla in gergo militare, organizzare un’adeguata controffensiva; ma il suo difetto fondamentale è il rischio elevato di sfuggire di mano, ritorcendosi contro chi l’ha usata. Per questo motivo i cinesi ci sono andati coi piedi di piombo fino a due anni fa, ma non hanno potuto impedire che, ogni tanto, qualche virus patogeno sfuggisse al controllo di personale inesperto o disattento, dando luogo a focolai infettivi, fortunatamente isolati, ma sempre rilevati da avare segnalazioni cinesi, o, più spesso, da servizi segreti occidentali.
Questo fino al 2019, quando, volenti o nolenti, i sudditi del Neopresidente a Vita autoproclamatosi tale, sono riusciti (per caso o per errore) a mettere a punto il Covid-19 un virus molto contagioso, ma non così mortale da suscitare allarmi precoci e tempestivi: così, mentre la nostra Sinistra “abbracciava il cinese” e si ingozzava per propaganda di involtini primavera, la città di Wuhan veniva messa in quarantena e isolata dal resto della Cina, ma, nello stesso momento, centinaia di cinesi venivano lasciati partire da Wuhan in aereo verso Milano per la “settimana della moda”: e allo scalo milanese era solo la loro temperatura ad essere verificata senza tamponi, né tracciatura, per il semplice motivo che, nonostante il governo italiano fosse stato avvisato, il suo rappresentante aveva disertato la riunione degli esperti europei nella quale si era deciso di effettuare il tampone diagnostico a tutti i passeggeri provenienti dalla Cina. Insomma un groviglio di incompetenza, malafede e trascuratezza che, in ultima analisi ha avuto come risultato il diffondersi di una pandemia oggi giudicata dai più benevolmente colposa, ma che guarda caso, ha centrato gli obiettivi favorevoli alla Cina, indipendentemente da tutto il resto.
In altre parole, a prescindere dalla intenzionalità originaria, è assodato che la Cina “sapeva” cosa stesse accadendo, tanto è vero che, non solo ha subito isolato Wuhan dal resto del Paese, ma, come hanno poi ricostruito calcoli statistici di tipo informatico, ha effettuato un’enormità di tamponi diagnostici sui suoi cittadini parecchi mesi prima che da noi si cominciasse a parlare del paziente “zero”, mentre i zelanti filocinesi nostrani andavano ancora in visibilio per la prossima apertura della “Via della seta”. Ora sappiamo di cosa fosse lastricata quella via!
Vale la pena, a questo punto, ricordare che all’inizio degli anni ’90, quando Saddam Hussein invase il Kuwait, un’apposita commissione ONU venne inviata in Iraq per verificare l’esistenza di depositi di gas nervini, senza trovarne traccia? E che, ciononostante, dopo pochi giorni, Bagdad fu praticamente rasa al suolo dai bombardieri americani? E ancora, è permesso sottolineare il fatto che l’Istituto di Virologia di Wuhan fosse da considerare, a tutti gli effetti, stanti le informazioni disponibili, un obiettivo militare da distruggere selettivamente con bombe sicuramente più intelligenti di quelle usate contro l’Iraq?
Domande tanto cretine, naturalmente, quanto inevitabili: soprattutto alla luce di quanto sta ancora accadendo in tutto il mondo proprio in questi giorni, mentre un dittatore sanguinario col viso di cartapesta continua a rivendicare pubblicamente il suo diritto di reprimere violentemente ogni dissidenza (vedi Hong Kong di cui non si parla più da una vita), ma anche la sua seria intenzione di riannettere con la forza i cinesi Taiwan asserragliati nella loro isola di libertà.
Hitler, al confronto, non era che un imberbe dilettante.