In Argentina, è stata appena scritta una pagina storica: Cristina Fernández de Kirchner, due volte ex presidente e figura centrale della politica argentina negli ultimi decenni, è stata condannata in forma definitiva per corruzione. Dopo anni di accuse, sospetti e processi posticipati, finalmente è arrivata una sentenza che ha fatto tremare non solo Buenos Aires, ma anche molte altre capitali latinoamericane.
La condanna riguarda un sistema di corruzione istituzionalizzata, legato all’assegnazione di appalti pubblici, durante i suoi mandati presidenziali (2007–2015). In parole semplici, Cristina avrebbe favorito un imprenditore amico, Lázaro Báez, affidandogli opere pubbliche con fondi statali e gonfiando i costi, in cambio di una parte del denaro che rientrava nelle sue mani. Una rete di complicità che ha danneggiato le casse pubbliche per milioni di dollari.
La Corte Suprema argentina ha confermato la condanna a sei anni di prigione e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Cristina Kirchner non gode più di alcun tipo di immunità, poiché attualmente non ricopre nessuna carica pubblica, né esecutiva né legislativa. La possibilità di candidarsi nuovamente per ottenere protezione politica è ormai compromessa dalla stessa sentenza.
Ma il danno maggiore non è solo per lei, bensì per l’intera rete politica della sinistra latinoamericana, che da anni si sostiene internamente e giustifica ogni accusa come “persecuzione politica”. Lula in Brasile, Evo Morales in Bolivia, Rafael Correa in Ecuador, Nicolás Maduro in Venezuela: tutti con accuse gravi alle spalle, e tutti protetti da un discorso ideologico che si ripete come un copione ripetitivo e noioso.
Questa condanna potrebbe dare inizio a un effetto domino. Se l’Argentina riesce a portare davanti alla giustizia una figura così potente, altri popoli potrebbero cominciare a chiedere lo stesso ai loro leader. E questo spaventa molte élite corrotte che da anni si arricchiscono mentre la popolazione affronta inflazione, insicurezza e povertà.
Cristina ha sempre cercato di presentarsi come vittima del “lawfare”, ma ora le prove parlano da sole. Non è persecuzione: è responsabilità.
In un continente stanco di bugie, povertà e populismo, questa condanna rappresenta una speranza concreta di cambiamento. Forse, finalmente, l’America Latina sta voltando pagina.