Dazi o non dazi? Questo è il dilemma che assale l’Europa da ormai qualche mese, soprattutto dopo che gli Stati Uniti hanno deciso di far pendere la bilancia verso una nuova politica dei dazi che, senza nasconderci, colpirebbe anche la nostra economia.
Ma c’è da dire che, nonostante se ne sentano davvero di tutti i colori sul The Donald, una cosa è chiara ed evidente anche ai meno esperti di economia: Trump vuole negoziare, vuole trattare, vuole il confronto. Punta esattamente a quello, con la speranza di poter calcare di più la mano con alcuni, ma senza mai sacrificare il benessere del suo Paese. Perché sa molto bene che, sebbene sia risaputo che gli USA sono una potenza mondiale, questo non prescinde dal fatto che essi abbiano necessariamente bisogno di interfacciarsi e relazionarsi con gli altri attori sulla scena internazionale.
Il braccio di ferro che, in un primo momento, i burocrati di Bruxelles avrebbero voluto portare avanti (“possiamo farcela da soli”, “risponderemo ai dazi con contro-dazi più alti”) ha presto lasciato il posto – e potremmo anche dire, fortunatamente – a una politica più improntata al buonsenso. E così, negli ultimi giorni, qualcosa si sta smuovendo e sembra andare verso una direzione più favorevole per l’Europa e per l’Italia stessa – che, ricordiamolo, è uno dei principali attori che sta facilitando il dialogo tra le due sponde dell’Atlantico.
Trump, infatti, proprio in questa settimana ha rimandato al 9 luglio l’entrata in vigore dei dazi nei confronti dell’Unione Europea – originariamente previsti per il 1° giugno. Dal canto suo, anche l’Unione si sta dimostrando pronta a riequilibrare la questione, come dimostra il recente e significativo incontro tenutosi a Palazzo Chigi tra la Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, e il vice di Trump, J.D. Vance.
In questo contesto, fragile ma fiducioso, il nostro Paese ha assunto un ruolo primario che lo pone in prima linea nelle trattative, avendo capito prima di molti altri (specie Francia e Germania) che era una necessità, più che una scelta, quella di conversare con gli Stati Uniti su questo tema – e su altri. Perché, sebbene qualcuno lo voglia negare, USA e UE sono inscindibilmente connessi e legati, e non possono sopravvivere l’una senza l’altra.
E dunque, viste anche le evoluzioni degli ultimi giorni, Giorgia Meloni, in occasione del suo intervento di fronte all’Assemblea di Confindustria nella giornata di ieri – 27 maggio – non poteva non affrontare anche questa tematica.
“Il nostro impegno è stato rivolto soprattutto a restituire a questa Nazione la centralità che le è propria sullo scacchiere internazionale, su uno scenario globale che a volte era mancata”, ha esordito, ricalcando con forza la nuova posizione dell’Italia, oggi non più fanalino di coda, ma forza trainante nel continente e nell’Occidente in generale.
“Il 18 maggio a Palazzo Chigi c’è stato un primo incontro tra Vance e Ursula von der Leyen, l’inizio di un dialogo che l’Italia ha continuato a facilitare anche in questi giorni”, ha ricordato il Presidente del Consiglio, che ha poi specificato come, per ottenere davvero dei risultati, occorra agire “con saggezza e con buonsenso, e con un approccio più politico che burocratico”.
Per questo, ora più che mai, è necessario “un cambio di postura dell’Europa, di priorità, di approccio che l’Europa deve incarnare per essere all’altezza delle sfide che stiamo attraversando. A partire ovviamente dal rapporto con gli Stati Uniti, che è fondamentale”, perché, ha sottolineato, “per mantenere la forza dell’Occidente, i nostri destini sono interconnessi.”
Ed è questa una verità che non può essere messa in discussione. Per ottenere un cambiamento – o meglio, un miglioramento – a livello europeo e mondiale, è fondamentale un cambio di marcia “concreto, sostanziale e corposo”. Solo in questo modo sarà possibile parlare di futuro in una nuova chiave, più forte e più stabile.
E per farlo serve, innanzitutto, che l’Europa “abbia coraggio”. Il coraggio di “dire basta all’iper-regolamentazione”, che in questi ultimi anni non ha fatto altro che indebolire la sua struttura. Il coraggio di “rimuovere i dazi interni che si è autoimposta in questi anni”, figli di politiche deliranti come quelle del Green Deal, che hanno creato un clima non più sostenibile – non solo da un punto di vista economico, ma anche commerciale e sociale.
Insomma, come giustamente affermato dal Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, è tempo di “rimettere al centro il pragmatismo e il buonsenso”. È questa l’unica via percorribile, l’unica che può davvero segnare la rinascita dell’Occidente, oggi smarrito tra le sue stesse debolezze e contraddizioni.
L’Italia la sua parte la sta facendo, e con determinazione. Non solo è una delle poche nazioni europee che oggi è in grado di mostrare stabilità politica e visione strategica, ma è anche l’unica che ha avuto il coraggio, sin da subito, di indicare che la strada da percorrere era – ed è – quella del dialogo costruttivo, e non quella dello scontro sterile e inconcludente.
Oggi, dunque, abbiamo un’Italia che non si limita a seguire, ma che guida. Che non subisce, ma propone. Ed è proprio grazie a questa postura chiara e coerente che oggi iniziano a vedersi i frutti, dentro e fuori dai confini nazionali. E, passo dopo passo, il nostro Paese sta contribuendo a costruire un nuovo equilibrio europeo e internazionale che, se proseguirà nella direzione auspicata, sarà altresì capace di generare risultati sui mercati internazionali e restituire all’Europa quel ruolo che pareva aver perduto.