Dazi USA, è rottura con l’Europa. Trump alza la voce, Bruxelles temporeggia

I segnali c’erano tutti. Lo scontro era nell’aria, e oggi è arrivata la conferma: Donald J. Trump ha annunciato dazi del 50% su tutti i prodotti provenienti dall’Unione Europea, a partire dal 1° giugno. Una mossa che ha fatto tremare le borse e che suona come una dichiarazione di guerra commerciale. Ma cos’ha fatto saltare il tavolo? La risposta, se si guarda con onestà, è da cercare nella consueta rigidità burocratica di Bruxelles.

Il fattore tempo: la lentezza suicida dell’UE

Da settimane si parlava di una riapertura dei canali diplomatici tra Stati Uniti e Unione Europea. Dopo il gelo del primo mandato di Trump e il vuoto strategico dell’era Biden, l’UE si era finalmente seduta al tavolo. Peccato che – come spesso accade – abbia preferito parlar di metodo che entrare nel merito. Riunioni, verbali, missioni esplorative. Ma nessuna proposta concreta.

Trump: “Non aspetteremo che l’Europa si svegli”

Trump, che conosce perfettamente i tempi della politica americana e l’urgenza di dare risposte alla sua base elettorale, ha scelto di forzare la mano. Nel suo discorso fiume alla Trump Tower, ha puntato l’indice contro l’UE:
“Hanno promesso apertura, ma non hanno portato nulla al tavolo. Nessuna proposta seria, solo burocrazia e ritardi. L’Europa ci prende tempo. Ma noi non aspetteremo che si svegli.”

Le accuse a Bruxelles: dogane, IVA, sanzioni

Oltre alla lentezza, Trump ha contestato:
– Le barriere non tariffarie che penalizzano l’export americano, soprattutto nei settori tecnologici e agricoli;
– Il sistema IVA europeo, che rimborsa l’imposta all’export ma non garantisce reciprocità alle imprese USA;
– Le sanzioni giudiziarie contro colossi statunitensi (Google, Apple, Meta), viste come strumenti politici più che difesa della concorrenza.

L’Europa, tra silenzi e automatismi

Dalla Commissione Europea solo frasi di circostanza. “Valutiamo la situazione”, “siamo pronti a difendere i nostri interessi”, “non vogliamo una escalation”. Tradotto: il solito riflesso pavloviano che confonde prudenza e paralisi.
Nel frattempo, le borse europee crollano. Il DAX tedesco perde il 2,3%, il CAC francese l’1,6%. Le imprese che esportano negli Stati Uniti – dal vino italiano alle auto tedesche – si ritrovano in trincea, senza una strategia difensiva. Mentre il mercato americano si chiude, l’Europa si affida ai tecnocrati.

Il punto politico: l’America agisce, l’Europa riflette

Il punto è tutto qui. Trump agisce, Bruxelles riflette. Trump comunica, Bruxelles verbalizza. L’America impone dazi in 24 ore. L’Europa ci metterà sei mesi solo per approvare un documento di risposta. Il tempo è potere, e l’UE – ancora una volta – l’ha sprecato.

Conclusione: chi semina lentezza, raccoglie dazi

L’Unione Europea è vittima delle sue stesse procedure. Ha creduto di poter “gestire Trump” con la retorica multilaterale, ignorando che la politica estera americana è tornata a essere pragmatica e muscolare. Ha preferito la mediazione alla decisione, il consenso alla leadership.
Ora paga il prezzo dell’inerzia. E rischia di farlo pagare a milioni di imprenditori europei. Altro che autonomia strategica: questa è sudditanza alla propria burocrazia.

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