L’articolo 4 del decreto sostegni, il provvedimento economico di esordio del Governo Draghi, è la dibattuta norma che ha sigillato l’operazione nota come «stralcio delle cartelle͙». La famigerata disposizione prevede l’annullamento dei debiti di importo residuo, fino a 5.000 euro e per i redditi imponibili sino a 30.000 euro. La norma si presenta sin da subito come argomento normativo fortemente divisivo. In una maggioranza estremamente composita, variegata, ottenuta dalla miscela già sperimentata senza successo di componenti politiche geneticamente non miscibili, ma che comunque si tiene insieme, anche oltre le leggi della fisica, in una sorta di fusione a freddo la cui tenuta è giustificata esclusivamente dal paradigma statuale dell’Unità Nazionale. E dal prolungamento di semestre in semestre di una condizione emergenziale prorogata talmente a lungo da divenire una «nuova normalità» e non essere più tale. Ma ciò nonostante: lo stralcio c’è, e i suoi effetti finanziari, «coerenti», si legge all’articolo 42, «con l’autorizzazione al ricorso all’indebitamento approvata il 20 gennaio 2021 dal Parlamento», si finanziano in deficit. Ma (e questo è il punto) non tutti, o almeno: non subito. C’è un’altra componente di extra-onere che è solo «presunta», ma non quantificata. Trasposta fuori dallo schema di copertura del decreto, e scaricato sulla finanza futura degli enti territoriali.
L’ipotesi di un «eventuale maggiore disavanzo» e la procastinazione degli effetti
In una norma che somiglia più a un dilettevole esercizio di finanza creativa, e precisamente il comma 5 dell’articolo 4 del decreto sostegni, il Governo, relativamente alla mancata riscossione di debiti già iscritti nel bilancio di previsione degli enti territoriali creditori (Regioni ed enti locali) non esclude, anzi ammette nero su bianco l’ipotesi concreta che da tale annullamento possa derivare un «eventuale maggiore disavanzo» sui bilanci degli enti creditori. Ma non lo calcola immediatamente. Sarà un decreto ministeriale a stabilire con quali modalità sarà effettuato «il riaccertamento straordinario dei residui attivi cancellati in attuazione del comma 4». Tuttavia il magnanimo Governo «concede» la facoltà, per tali enti, di ripianare tale eventuale maggiore disavanzo in non più di dieci annualità a decorrere dall’esercizio in cui è effettuato il riaccertamento. Vale a dire: non siamo in grado di dire adesso in quale misura l’annullamento dei carichi peserà sui bilanci degli enti territoriali. Ma probabilmente questo avverrà. Però, per dirla con Fantozzi: «siamo umani noi», e daremo la possibilità agli enti territoriali creditori di ripianare tale disavanzo in ben 10 annualità.
Saranno gli amministratori locali del futuro a dover gestire l’effetto eventuale di questa manovra, decideranno loro, qualora si troveranno nel caso di un maggiore disavanzo, quali servizi pubblici tagliare o rimodulare, quali aliquote aumentare, quale revisione della spesa pubblica effettuare. Un metodo di intervento a tratti rocambolesco, per non dire burlesco, che, francamente, poco si addice ad un Governo caldeggiato in fase di costituzione come autorevole e necessario, e che trova la sua ragion d’essere nella necessità di governare l’economia con fermezza e risolutezza traghettando il Paese fuori dalla crisi economica e sanitaria, assicurando certezza del diritto ed equilibrio dei conti pubblici.
L’emendamento di «Fratelli d’Italia»
Con un emendamento al Decreto sostegni il Gruppo parlamentare «Fratelli d’Italia al Senato» proporrà l’introduzione di un principio di buon senso, di correttezza e lealtà istituzionale: che sia sin da subito stabilito che almeno il 50 per cento di tale eventuale maggiore disavanzo sia posto a carico dello Stato, e che sin da subito, a tal fine, il Governo accantoni le risorse necessarie per far fronte a tali spese, future, eventuali. Una richiesta esplicita di assunzione di responsabilità da parte del Governo centrale sugli effetti di un’operazione il cui costo non può, in ultima istanza, essere pagato dai cittadini in termini di tagli di servizi o incremento delle aliquote o operazioni di riduzione della spesa, che sono in definitiva gli «strumenti di ultima istanza» di cui la finanza pubblica e la contabilità locale dispone per ripianare i bilanci.