C’è una lezione che questi giorni in Romania ci hanno insegnato chiaramente: tutto è relativo. Anche ciò che non dovrebbe esserlo mai. In particolare, in questo Paese, la difficoltà di poter raccontare i fatti per ciò che sono — senza distorsioni, censure o mistificazioni — è lampante. Ed è drammaticamente un fenomeno che conosciamo bene anche a casa nostra.
E se è vero che non dovrebbe più sorprendere il fatto che le fake news trovino nel periodo elettorale il loro terreno più fertile, l’amplificazione che si ha di questo fenomeno nel paese romeno non ha veramente paragoni. E, guarda caso, la direzione di queste menzogne, unitamente ad una attività di censura serrata, va sempre in un’unica direzione: colpendo la destra.
Fake news e censura sono dunque due facce di una stessa medaglia. E nella stagione dei social media, dove chiunque può dire tutto — o meglio, tutto ciò che è gradito al mainstream — il problema diventa davvero virale, per usare un termine affine a questo mondo.
E purtroppo, nella realtà romena ciò ha raggiunto livelli mai visti prima. Tant’è che proprio durante questa ultima campagna elettorale, iniziata di fatto da marzo, sono stati addirittura creati dei veri e propri gruppi organizzati sui social che hanno il solo scopo di passare al setaccio i post, i tweet, persino i like di esponenti di destra, dei loro collaboratori e in generale di tutti i loro sostenitori. Pronti a segnalarli in massa per farli tacere. Una strategia subdola, ma indubbiamente efficace, che di fatto mette a tacere chi osa uscire dal coro.
Ma non solo, perché proprio nelle giornate sono emerse alcune polemiche circa delle lettere inviate dal partito AUR ai cittadini. Si è gridato subito allo scandalo, alla violazione della privacy. Peccato che quegli indirizzi fossero presi da registri pubblici e legali, come sottolineato dallo stesso George Simion durante una recente conferenza stampa tenutasi dinanzi al Parlamento.
Ma c’è di più. Perché, nel frattempo, l’invio di messaggi privati da parte del partito del sindaco di Bucarest, Nicusor Dan è invece rimasto in un vergognoso silenzio, ad eccezione di qualche cittadino che ha avuto il coraggio di denunciare l’accaduto sui propri profili online. Ma il fatto è stato ignorato dai mass media. Confermando, ancora una volta, che le notizie e le informazioni vengono troppo e troppo spesso piegate da questi stessi media, che decidono scientemente di far conoscere solo e soltanto un determinato aspetto della realtà. Quello che decidono loro.
Questa è la distorsione più grande a cui assistiamo: ciò che è legale diventa scandaloso, mentre ciò che è davvero scorretto passa sottotraccia. E quando persino le istituzioni, si piegano a queste logiche — come dimostra proprio l’annullamento delle elezioni senza prove certe — capiamo che il problema ha radici profonde.
È il volto del Deep State, quel sistema opaco che opera nell’ombra per proteggere l’establishment, screditare il dissenso e annichilire chi chiede un vero cambiamento. E in questo gioco perverso, la censura viene mascherata da politically correct, mentre dall’altro lato chi difende la patria e i suoi valori fondanti viene etichettato come estremista o fascista.
Eppure, questo sistema non è invincibile, ma si può combattere se si ha il coraggio di andare controcorrente, anche quando è scomodo.
Dobbiamo ricordare- e questo ce lo ha insegnato bene il caso romeno- che la libertà e la democrazia non sono garantite per sempre. Ma vanno difese, giorno per giorno. E la nostra arma più potente, la più semplice e la più rivoluzionaria, è e sarà sempre una sola: la verità. Perché è con la verità che si può rompere la gabbia del pensiero unico e ridare voce ai cittadini, ricostruendo così un mondo che sia davvero libero e democratico, e non asservito ad un establishment che vuole solamente mantenere il proprio potere all’interno dei palazzi di vetro.