Destra identitaria e di governo. La destra migliore, la destra di Giorgia

Con la scomparsa delle ideologie del Novecento, non molti anni fa si sosteneva che la divisione del panorama politico, in Italia e non solo, fra destra e sinistra avesse perso significato e valore, ma tanto la prima quanto la seconda sono in realtà sopravvissute alla fine dei dogmi che hanno caratterizzato tutta l’epoca della Guerra Fredda. I termini destra e sinistra sono stati messi in relazione con altri e nuovi valori anche se taluni ambienti politici si sono evoluti in maniera sostanziale ed altri, hanno cambiato i simboli partitici novecenteschi e diverse parole d’ordine senza però mutare intimamente. Per esempio, a sinistra non si è più potuto portare avanti una proposta al cospetto degli elettori con l’emblema della falce e del martello, ed è diventato impossibile indicare dei modelli nel mondo da importare visto il collasso epocale dell’URSS e dei regimi comunisti dell’Europa orientale. Quindi, venuta meno, per forza di cose, l’ideologia, a sinistra si sono imposti i feticci ideologici come l’ambientalismo, il giustizialismo, le pseudo-culture woke e gender, l’immigrazionismo, ma, insieme a queste forme di riciclaggio politico alle quali è ricorsa una sinistra, italiana ed europea, orfana del socialismo reale e delle sedicenti lotte per i lavoratori, la mentalità del comunismo antico è rimasta sempre la stessa.

Oggi come ieri si tenta la scalata e poi la permanenza al potere senza dover rendere conto ai cittadini, si pianifica la delegittimazione, anche umana, dell’avversario, usando strumenti poco leciti per la democrazia liberale come i Giudici politicizzati, si vuole il pensiero unico e si vede lo Stato come un mezzo per regalie elettorali o punizioni classiste, magari rivolte ai titolari di partita IVA. La destra italiana, dal crollo del Muro di Berlino ad oggi, ha percorso tutt’altra strada e in modo ben più serio. Non ha avuto bisogno di nascondere i simboli storici tant’è che la Fiamma Tricolore campeggia tuttora sul contrassegno di Fratelli d’Italia. Del resto, non c’è nulla di cui vergognarsi nel dire che si arriva, per i più attempati, dal Movimento Sociale Italiano oppure, per quelli un poco più giovani, da Alleanza Nazionale. Perché si giunge da una Storia che ha avuto il coraggio e la lungimiranza di fare i conti con il fascismo e la successiva e vitale promozione dei valori democratici subito dopo la fine della guerra. La vulgata comunista e post-comunista, ormai è storica anche questa, ha dipinto per l’intera epoca repubblicana i dirigenti dell’allora MSI come delle mine vaganti per la tenuta della democrazia, e il PCI come garante autentico della libertà, ma quando, fin dal primissimo dopoguerra, i missini Augusto De Marsanich e Giorgio Almirante affermavano il concetto “Non rinnegare, non restaurare”, i comunisti italiani ancora volevano far credere che Stalin fosse un esempio da seguire e una gran brava persona. “Adda veni Baffone” dicevano questi ultimi, sperando che lo spietato dittatore sovietico, famoso anche per i suoi folti baffi, giungesse sino in Italia. La destra politica, checché ne abbia detto e ne dica una determinata propaganda, a differenza del PCI trovatosi in drammatico imbarazzo dopo il 1989, non si è mai dovuta vergognare di questa o quella dittatura. Tuttavia, il mondo è sempre stato in movimento e la destra pure, perciò, si è arrivati ad alcune tappe evolutive necessarie come la svolta di Fiuggi e poi la costituzione di Fratelli d’Italia.

Nemmeno altre destre importanti in Europa sono rimaste imbalsamate nel passato e hanno dato vita a soggetti politici più vasti e plurali, mossi dall’ambizione di interpretare un conservatorismo di massa. Pensiamo solo al Rassemblement National di Marine Le Pen e Jordan Bardella, ben diverso dal Front National di Jean-Marie Le Pen. Tornando in Italia, ben pochi scommettevano sulla riuscita del progetto di FdI, al massimo immaginato come cespuglio destro di un eventuale centrodestra guidato comunque da altri, lontano dalle percentuali di AN e forse pure del MSI-DN. Ma il coraggio, la tenacia e la vista lunga di Giorgia Meloni e del ristretto gruppo a lei vicino, sono riusciti a ribaltare i pronostici poco lusinghieri con la realizzazione di ciò che è oggi Fratelli d’Italia. Ci troviamo davanti ad una destra che è già e sarà sempre più partito conservatore di massa.

Una forza ad inevitabile vocazione maggioritaria e interclassista che però non si smarrisce nella ricerca del consenso e promuove una formula identitaria riconoscibile composta dalla difesa dei valori giudaico-cristiani dell’Occidente e delle radici culturali e religiose della nostra civiltà, dalla protezione dei confini, dalla tutela dell’interesse nazionale in un’Europa che deve essere migliore dell’attuale UE, dall’amore per la libertà e il mercato. Il conservatore identitario non è tuttavia trinariciuto e irresponsabile, bensì è pragmatico, non vuole opporsi in eterno e dire solo dei no da un piedistallo di purezza ideologica, peraltro sterile, e cerca di governare con senso di responsabilità e dello Stato, ovviamente per cambiare le cose e soddisfare i valori nei quali crede, ma senza salti nel buio e avventurismi che rischiano di fare regredire ancor più la situazione.

La destra identitaria e di governo di Giorgia Meloni, che guida l’Italia da due anni e mezzo, sta facendo proprio tutto questo ed è divenuta ormai un riferimento per il conservatorismo occidentale. Il lato destro della politica non può certo essere un fortino di arrabbiati perenni e di integralisti perché, se si riesce così per qualche tempo a conquistare l’immediato malcontento popolare, poi si finisce per stancare chi ha bisogno di risposte concrete, per esempio, su temi economici e sociali, e finanche per spaventare. Ma allo stesso tempo, le destre e i conservatori devono stare attenti a non perdersi nella terra di nessuno, a non ingrigirsi e diventare altro per tentare di piacere a coloro i quali in ogni caso non voterebbero mai a destra. Se il partito conservatore più in vista smette di fare il proprio dovere e di essere percepito come garante di alcuni valori non negoziabili, non tarda ad arrivare un’alternativa dai contorni più definiti che provvede subito a colmare le lacune.

Pochi giorni fa il Partito Conservatore britannico, che tarda a rielaborare una nuova identità dopo la sconfitta a livello nazionale, è stato battuto alle elezioni amministrative dalla formazione di Nigel Farage. In Romania, dove fra l’altro si trova una delegazione de La Voce del Patriota, recatasi nel Paese per seguire da vicino le elezioni presidenziali che si terranno proprio oggi, il partito AUR, Alleanza per l’Unione dei Romeni, di George Simion, il quale ha altissime chance di diventare il prossimo presidente, si è affermato come il principale rappresentante della destra rumena dopo che il Partito Nazionale Liberale, per anni il più importante contenitore politico di centrodestra, ha scelto la via degli inciuci e dei governi di larghe intese con la sinistra del PSD, i socialdemocratici con un passato nel regime comunista di Nicolae Ceausescu.

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Roberto Penna
Roberto Penna
Roberto Penna nasce a Bra, Cn, il 13 gennaio 1975. Vive e lavora tuttora in Piemonte. Per passione ama analizzare i fatti di politica nazionale e internazionale da un punto di vista conservatore.

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