Che Gigino Di Maio non abbia il physique du role per fare il ministro, era una dato abbondantemente acquisito. Nonostante i due ministeri occupati nella sua breve esperienza governativa, continua, però, a sentire il bisogno di dimostrarlo quotidianamente.
Ed è così che nella scorsa settimana, il nostro Ministro degli affari esteri si è recato in visita istituzionale ad Ankara per incontrare il ministro turco Covusoglu. Discussione incentrata sull’ingresso, più volte ventilato, della Turchia all’interno dell’UE. Ad onor del vero, eventualità più volte smentita dal consesso europeo stesso, quantomeno fin quando la Nazione del Bosforo non avrà fatto chiarezza sullo spinoso tema dei diritti civili.
Perchè la Turchia, è bene ricordarlo, sebbene abbia abolito la pena di morte nel 2004, vive sotto la perenne minaccia di reintroduzione della stessa da parte del premier Erdogan. Problema che negli ultimi tempi è anche secondario rispetto ad un altro, cioè le attività militari turche sul confine tanto libico quanto siriano.
E’ da anni, infatti, che viene perseguito dal plenipotenziario turco il tentativo di sistematico sterminio della comunità curda siriana. Ma è solo recentemente, all’incirca dal 2018, che la stessa tattica – fatta di utilizzo di droni, artiglieria pesante, sfruttamento di milizie militari, stupri, saccheggi e fosse comuni – viene portata avanti anche sul confine Libico, con il placet silente della comunità internazionale.
Per tacere, infine, della questione interna: le carceri turche, e non è un segreto, pullulano di migliaia di oppositori politici. Si va dai giornalisti indipendenti ai parlamentari di opposizione. Ma, ovviamente, lo scopo del viaggio istituzionale non era ricordare al primo ministro turco le nefandezze di cui si sta macchiando.
Si è reso opportuno – a riprova di una scarsa o inesistente capacità di lettura della geopolitica – ricordare, da parte di Di Maio, “…come sia fondamentale il dialogo tra UE e Turchia…e come l’Italia apprezzi l’impegno della Turchia nella gestione dei fenomeni migratori”.
Delle due, l’una: o Di Maio non conosce “l’impegno” turco sulla politica migratoria, o siamo di fronte ad una farsa senza precedenti. Perchè la Turchia, forse è il caso di ricordarlo, intasca più di 5 miliardi di euro dalla stessa UE per fungere da forza di polizia e di contenimento dell’immigrazione, spesi per creare dei campi di accoglienza che somigliano nei fatti a campi di concentramento, nei quali vengono imprigionati soprattutto curdi.
E, come se non bastasse, la Turchia fa continuamente leva su questa posizione di forza, minacciando un giorno si e l’altro pure di “allentare la presa”, per ottenere sempre maggiori fondi da parte dell’Unione. Fondi che servono alla Turchia per prendere sempre maggiormente il controllo della Libia e dei territori circostanti: non è un segreto che Ankara abbia mire espansionistiche sulla Tripolitania e, se non vi saranno intromissioni russe, anche in Cirenaica. Il tutto nel sogno di quella “Grande Turchia” decisamente poco europea e molto islamica che Recep Erdogan sta cercando di realizzare.
Con l’avallo di un’Occidente compiacente, di una Unione Europea ancorata alla burocrazia dei palazzi di Bruxelles e di un Ministro degli esteri completamente inadeguato.